Troppi cambiamenti

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    Salve a tutti! ^_^
    Questa è una delle tante fanfic che ho scritto sulla saga di “Pirati dei Carabi”, ma è una delle poche in cui mi sono permessa di dare sfogo alla mia inventiva, rappresentando un periodo della vita dei personaggi che nei film non ci viene mai mostrato, neppure in un fotogramma: l’adolescenza.
    Considero questa mia storia una “canon-fic”, poiché è un dato di fatto che Will ed Elizabeth si conoscano fin dall’infanzia; ciononostante, non sappiamo come abbiano trascorso gli anni della prima giovinezza, perciò capite bene che ho inserito vari eventi di mia invenzione, i quali potrebbero dare l’impressione di leggere una fanfiction “what if”. Sono stata attenta, ad ogni modo, a non contraddire nessun dettaglio presente nella saga, rispettando avvenimenti e caratterizzazioni del materiale d’origine.

    Ovviamente i fan di “Pirati dei Caraibi” non avranno difficoltà a seguire la trama della mia fanfiction, ma sappiate che anche chi non conosce i personaggi e la storia originale può tranquillamente leggere quello che ho scritto. Infatti, sotto il titolo e il modulo di intestazione, troverete una brevissima sinossi che vi aiuterà a “orientarvi” nella lettura :)

    Aggiunta del 6/04/2023: se può servire, ho stilato anche un breve elenco (link) dei personaggi della storia.




    Troppi cambiamenti

    i3tEQsS

    OPERA DI RIFERIMENTO: “Pirati dei Caraibi”
    CATEGORIA: bollino giallo (per adolescenti)
    GENERE: Sentimentale con elementi di dramma e commedia
    NOTE AGGIUNTIVE: Canon-Fic
    DICHIARAZIONE DI NON RESPONSABILITÀ: “Pirati dei Caraibi” e i suoi personaggi non sono di mia proprietà, ma appartengono alla Walt Disney Company. Questa fanfiction non è stata realizzata a scopo di profitto, ma solo per il piacere di scriverla e di condividerla gratuitamente.



    Sinossi

    Port Royal, Giamaica, XVIII secolo. Elizabeth Swann è la figlia quattordicenne del Governatore della città, una ragazza vivace e intraprendente, che poco si cura delle convenzioni sociali, specie quando c’è di mezzo l’amico d’infanzia Will Turner, suo coetaneo e apprendista del signor Brown, un fabbro locale. Ma cosa succede quando si avvicina il suo quindicesimo compleanno e la sua introduzione ufficiale in società? Cosa succede quando finisce l’età della spensieratezza e iniziano le complicazioni dell’adolescenza?



    Parte Prima – Elizabeth

    GOfgUrJ


    «It’s ok. My name is Elizabeth Swann.»

    «W-Will Turner.»

    «I’m watching over you, Will.»


    From “The Curse of The Black Pearl”,
    Prologue



    Capitolo primo
    Un ritorno a lungo atteso



    Era strano rimettere piede a Port Royal dopo quasi un anno trascorso a Londra. Elizabeth Swann fu certa di aver bisogno di qualche giorno per abituarsi di nuovo alla vecchia vita, ma nel contempo si sentì impaziente di farlo. Aveva sentito spesso la mancanza di quella che ormai considerava la sua casa, anche perché Londra era troppo caotica per lei. La vita mondana sapeva essere stancante e monotona insieme, mentre Port Royal era un posto molto più tranquillo.

    C’era un’altra ragione, tuttavia, per cui Elizabeth non vedeva l’ora di lasciarsi alle spalle il viaggio in Inghilterra: Will le era mancato tantissimo in quei lunghi mesi. Era il suo migliore amico e lei avrebbe tanto voluto che la accompagnasse, ma non era stato possibile per varie ragioni, perciò si era dovuta rassegnare ad affrontare la lontananza. Dal giorno del loro primo incontro, circa tre anni prima, avevano sviluppato un legame piuttosto stretto e mai erano trascorse più di due settimane senza che si vedessero. Per questo motivo, Elizabeth desiderava fargli una sorpresa raggiungendolo alla fucina dove lavorava.

    Il Governatore Swann non fu molto felice dell’idea della figlia. Sapeva quanto volesse bene a Will, ma iniziava a pensare che quell’attaccamento fosse eccessivo. Il ragazzo era gentile, educato e rispettoso, oltre che sinceramente affezionato a Elizabeth, però era soltanto l’apprendista di un fabbro e per di più orfano di entrambi i genitori. Aveva poco da spartire con gli esponenti della classe nobiliare di Port Royal. Il Governatore avrebbe voluto che Elizabeth scegliesse con maggior cura le proprie amicizie; anche per questo l’aveva portata con sé in Inghilterra. Purtroppo, lei aveva un temperamento un tantino indisciplinato per una ragazza, cosa che finiva per tenere a distanza le sue coetanee, in genere più riservate. Da questo punto di vista, il soggiorno a Londra non aveva cambiato granché le carte in tavola.

    Con un profondo sospiro, il Governatore pensò che un giorno avrebbe dovuto imparare a dire di no più spesso alla figlia – per il suo bene. Al momento, decise, l’avrebbe accontentata ancora una volta, permettendole di fare un salto dal suo amico.

    Entusiasta per aver ricevuto il permesso di andare a trovare Will, Elizabeth batté le mani. Spiegò al padre che la loro carrozza avrebbe dovuto fermarsi a un paio di isolati di distanza dalla fucina, dopodiché lei sarebbe scesa per prima – e solo in un secondo momento lui avrebbe potuto raggiungerla.

    «Ho bisogno di qualche istante da sola con Will. Come ho detto, vorrei fargli una sorpresa.»

    «Mmh.» Il Governatore annuì, cercando di mostrarsi accondiscendente e rilassato. «Fa’ attenzione soltanto a non spaventarlo. Potrebbe essere impegnato in qualche attività delicata.»

    «Sì, padre. Ci vediamo fra poco.»

    Così Elizabeth scese dalla carrozza e camminò a piccoli passi verso la bottega del fabbro. Tra sé e sé maledisse il vestito che indossava: era delizioso, azzurro chiaro con pizzi e rifiniture bianche, ma la gonna era molto ampia e tendeva a ostacolare i suoi movimenti. Una delle novità del viaggio a Londra era costituita proprio dai cambiamenti nel suo guardaroba, ormai caratterizzato da abiti più raffinati e impegnativi da portare. Elizabeth li amava, ma talvolta rimpiangeva di non poter ricorrere a un abbigliamento più comodo.

    Arrivata davanti all’ingresso della fucina, accostò l’orecchio alla porta per controllare se Will stesse parlando con qualcuno, ma non udì nessuna voce. Tirata su la gonna con la mano sinistra, usò la destra per spingere il battente, attenta a rumoreggiare il meno possibile con le scarpe. Entrò. Le sue narici si riempirono degli odori del carbone e del metallo riscaldato, cosa che le fece subito arricciare il naso; non li ricordava così intensi. Dovette anche sbattere le palpebre più volte, per abituarsi alla scarsa luminosità dell’ambiente. Alla fine scorse una figura longilinea che le dava le spalle, intenta a ravvivare le braci incandescenti del fuoco. Proprio mentre lei si avvicinava, la figura si voltò: era Will.

    «E-Elizabeth?» farfugliò, come se non credesse ai suoi occhi.

    «In persona!» disse lei. «Sono appena tornata.» Fece un passo avanti. «Ebbene, perché non mi saluti come si deve? Non ci vediamo da una vita!»

    Will era a corto di parole. Giocherellò con l’orlo del suo grembiule di cuoio e si passò il dorso della mano sul viso, lasciando una striscia di fuliggine sulla guancia. Spazientita, Elizabeth lo raggiunse per abbracciarlo.

    «Aspetta, sono tutto sporco e sudato!» esclamò lui. «Ti rovinerai l’abito…»

    Lei provò una fitta di delusione. Si era figurata ben altra reazione da parte dell’amico: ritrovarsi fra le sue braccia senza che lui ricambiasse la stretta non era piacevole.

    «È un vestito come tanti» replicò, non riuscendo a evitare un tono piccato. «Onestamente, Will, mi aspettavo un’accoglienza diversa!»

    Lui le cinse la vita con esitazione, quasi avesse dimenticato come abbracciare una persona. La sua espressione era un misto di confusione e imbarazzo: le guance avevano un insolito colorito rosato e gli occhi erano sgranati. Aveva qualcosa di strano, non era lo stesso Will che Elizabeth aveva salutato soltanto l’anno prima. I lineamenti del viso erano cambiati un po’ e anche il modo di parlare suonava differente da quello che lei ricordava.

    «Perdonami» le disse lui. «Non… non volevo essere scortese.»

    Elizabeth cercò di buttarla sullo scherzo, per alleggerire l’atmosfera: «Che è successo alla tua voce, Will? Sembra che tu abbia la raucedine.»

    «Cosa? N-no, io…»

    «E noto che la tua eloquenza è parecchio peggiorata» continuò lei. «Si può sapere che hai combinato in mia assenza?»

    Un sorriso fece capolino sul volto di Will. «Sto bene, Elizabeth, davvero. Non mi aspettavo che tornassi oggi, tutto qui.» Si schiarì la gola. «La mia voce non ha niente che non va, almeno credo. È passato molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, direi che entrambi siamo cresciuti.»

    «In effetti, sei più alto di me adesso.» Lei sollevò una mano per misurare la differenza di statura. «Siamo sempre stati alti uguali.»

    «Si cambia» rispose Will, lasciandola andare. «Allora, dimmi, come stai? Com’è andato il viaggio?»

    «Oh, una meraviglia! La traversata in nave è stata favolosa – sai quanto mi piaccia stare a bordo! Però non vedevo l’ora di tornare. Londra è una città splendida, ma a lungo andare non fa proprio per me: tutti quei ricevimenti avevano iniziato a causarmi il mal di testa!» esclamò Elizabeth con enfasi.

    «E tuo padre? Sta bene?»

    «Sì, è rimasto qui fuori in carrozza. Dovrebbe arrivare a momenti, anche lui voleva salutarti. Il signor Brown dov’è, invece?»

    «È a casa, sua moglie sta male da settimane e ha bisogno che qualcuno rimanga con lei» spiegò Will, adombrandosi.

    «Sì, ora ricordo che mi avevi scritto qualcosa in proposito, nella tua ultima lettera. Mi dispiace, spero che si rimetta presto.»

    «Anch’io. È una brava donna la signora Brown; se mai dovesse accaderle qualche disgrazia, sarebbe un brutto colpo per tutti. Il mio padrone ne soffrirebbe moltissimo.»

    «Nessuno dovrebbe essere costretto a separarsi da una persona cara, né tanto meno a vederla star male» disse Elizabeth, intuendo al volo lo stato d’animo di Will. Ripensò al periodo della morte di sua madre, quando lei aveva quattro anni, e rabbrividì. Niente era stato più lo stesso da allora, soprattutto per suo padre: ricordava fin troppo bene la tristezza che a lungo gli aveva offuscato gli occhi.

    «Mi auguro che questo periodo passi in fretta» mormorò Will.

    «Cosa stai facendo, intanto? Immagino che lavorerai più del solito» osservò Elizabeth, desiderosa di cambiare argomento per non rievocare nella mente di entrambi gli eventi dolorosi del passato. Come lei, Will era orfano di madre, ma lo era anche di padre. Per un paio d’anni aveva sperato che quest’ultimo fosse ancora vivo, avendolo conosciuto a stento e serbando solo alcuni ricordi sporadici del suo volto e della sua figura. Alla fine si era rassegnato all’idea che l’uomo fosse morto da qualche parte per mare, dato che faceva il marinaio mercantile. I coniugi Brown erano quindi una sorta di genitori adottivi per Will; non c’era dubbio che lui fosse preoccupato per la situazione attuale e che lo stato della signora gli rammentasse la malattia della sua vera madre.

    «Gli impegni non mi mancano» ammise il giovane, mentre la sua espressione si schiariva. «Al momento me la cavo bene, però. Ormai sono grande a sufficienza per occuparmi di tutto.»

    Elizabeth fece un sorriso malizioso. «Oh, lo vedo. Non solo sei più alto di me, hai addirittura i peli sulla faccia!» Accennò con un gesto della mano alla parte inferiore del viso di Will: un principio di baffi era spuntato sopra il labbro e i primi segni della crescita della barba si scorgevano sul mento.

    Lui arrossì di nuovo. «Non mi riferivo a quelli.»

    «Tu no, ma io sì. Sono buffi, non trovi?»

    Will scosse il capo. «Non c’è niente di buffo, Elizabeth. È una cosa naturale.»

    «Allora è strano vedere questa “cosa naturale” proprio lì sulla tua faccia» disse lei, prima di lasciarsi sfuggire una risatina.

    Will corrugò la fronte e la guardò con occhi seri. «Mi trovi tanto diverso da prima?» chiese piano. La sua voce parve ancor più profonda di quanto fosse diventata e anche l’espressione sembrò particolarmente intensa. Elizabeth avvertì uno strano nodo alla gola. Erano sempre stati così magnetici gli occhi di Will?

    «No, tu… cioè, io…» Stavolta toccava a lei avere una cattiva eloquenza. «Voglio dire, sei sempre tu» concluse, mentre il cuore le batteva più forte del solito. «Non era mia intenzione offenderti, ho solo… scherzato un po’.»

    «Capisco. Non c’è problema.»

    Elizabeth deglutì. Perché, tutt’a un tratto, provava un tale disagio? Will era Will, per quanto potesse essere cambiato. Non c’era alcuna ragione per agitarsi… o sì?

    In quell’istante la porta si aprì ed entrò il Governatore Swann. Approfittando del suo arrivo per scrollare via l’imbarazzo che le era piombato addosso, Elizabeth si precipitò da lui. Will rimase educatamente in disparte.

    Il Governatore fece un cenno alla figlia, poi si rivolse al giovane in tono cordiale: «Buongiorno.»

    Will fece un leggero inchino. «Buongiorno, signore. È bello rivedervi.»

    «Spero che Elizabeth non ti abbia disturbato.»

    «No, non preoccupatevi. Sono contento che siate tornati entrambi, si sentiva la vostra mancanza a Port Royal.»

    «Sì, finalmente siamo a casa. Devo riconoscere che è piacevole ritrovarsi qui, c'è più tranquillità rispetto all’ambiente londinese» rispose il Governatore. «Elizabeth, mia cara, penso che adesso dovremmo rientrare in villa» aggiunse.

    «Immagino che siate stanchi dopo il viaggio» disse Will.

    «È vero, abbiamo bisogno di riposo e di una buona tazza di tè.»

    «A proposito di tè» intervenne Elizabeth, «perché non invitiamo Will a prenderlo con noi, la prossima domenica? Padre, sarebbe bello trascorrere parte del pomeriggio insieme.»

    Il Governatore restò in silenzio, ponderando la proposta. «Suppongo che si possa fare» acconsentì infine. «Sempre che il giovane William non abbia impegni di altro tipo.»

    «Oh, no, dovrei essere libero. Vi ringrazio molto, sarà un onore unirmi a voi.»

    «Perfetto!» dichiarò Elizabeth, lieta che tra lei e Will sembrasse di nuovo tutto normale. «Allora ci vediamo domenica.»

    «Buona giornata» augurò lui. «Grazie ancora per l'invito.» Il suo sguardo si spostò dal Governatore a Elizabeth, indugiando su di lei per un attimo.

    «Arrivederci» disse il Governatore. Elizabeth rivolse a Will un ultimo cenno, prima di seguire il padre fuori dalla bottega.

    Raggiunsero la carrozza e si accomodarono sul sedile. «Sei contenta?» domandò il Governatore. «Hai visto il tuo amico e lo avrai perfino a casa per il tè.»

    «Sì, padre, sono contenta. Grazie davvero.» Eppure, malgrado la gioia, c’era qualcosa che non andava nel tono di Elizabeth. Lei stessa se ne rendeva conto. Il fatto era che l’incontro con Will non era andato come previsto, causandole reazioni mai avute prima. Sperò che entro domenica si risolvesse tutto, poiché non era abituata a sentirsi a disagio proprio in presenza del suo migliore amico.

    Il Governatore, d’altro canto, si chiedeva se accettare d’invitare Will per il tè fosse stata un’idea indovinata. La richiesta di Elizabeth l’aveva colto alla sprovvista e lui non aveva saputo rifiutare, anche perché pensava che potesse essere scortese nei confronti del ragazzo; tuttavia, col senno di poi, sarebbe stato meglio inventare qualche scusa. Elizabeth era appena tornata a Port Royal e il suo pensiero fisso era stato subito Will. Ciò non andava bene, per niente. Gli aveva già scritto fin troppe lettere durante il soggiorno a Londra, almeno secondo l’opinione del Governatore.

    Ad ogni modo, ormai non aveva senso rimangiarsi la parola. Sarebbe stato indulgente con la figlia, ancora una volta.



    Indice dei capitoli


    Parte Prima – Elizabeth

    1. Un ritorno a lungo atteso
    2. Solo una scheggia
    3. Dare un colpo al timone
    4. Una donna e un uomo


    Parte Seconda – Will

    1. Una visita inattesa
    2. Solo una festa
    3. In due al timone di una nave
    4. Il fabbro e la fanciulla


    Elenco dei personaggi

    Edited by Elizabeth Swann - 17/3/2024, 12:39
     
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    Una storia molto bella, che approfondisce la relazione di questa coppia e ci permette di vederla sotto una nuova luce... poi è molto bello il legame tra Elizabeth e suo padre: lui che desidera per lei una vita felice, con la persona che più le corrisponde, ma che d'altra parte non vuole altro che la sua felicità; lei una donna anticonformista, passionale....veramente un ottimo lavoro
     
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    Ti ringrazio davvero molto per essere passata, soprattutto perché, considerando che conosci già la prima parte della storia, potevi tranquillamente astenerti dal commentare. Quindi grazie di <3

    Il rapporto fra Elizabeth e Weatherby è interessante. Lui non è certo quel che si dice un padre-padrone, nonostante l'epoca, perciò mi sembra chiaro che non vorrebbe mai costringerla a fare qualcosa che lei non vuole. Al tempo stesso, chiedergli di scardinare completamente le regole della società sarebbe troppo X) Quindi mi sembra normale che a un certo punto pensi a mettere dei paletti.
    Per quanto riguarda Elizabeth che dire? È una donna indipendente, che difficilmente si lascia condizionare, perciò ho immaginato che già in adolescenza queste sue caratteristiche si manifestassero ;)
     
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    Capitolo secondo
    Solo una scheggia

    MAwHxuz



    Domenica pomeriggio, come convenuto, Will si presentò alla villa del Governatore. Aveva indosso quelli che con tutta probabilità erano i suoi abiti migliori, utilizzati per andare in chiesa o partecipare a qualche evento formale, e fu educatissimo come sempre.

    Sembrava che l’incontro dovesse filare liscio e senza intoppi, ma Elizabeth, una volta finito di bere il tè, suggerì all’amico di fare una passeggiata in giardino. A quel punto suo padre drizzò le orecchie, però fece buon viso a cattivo gioco e lasciò che i due giovani si comportassero come meglio credevano. In un secondo momento, pensò, avrebbe mandato qualche servitore a sorvegliarli.

    Elizabeth e Will si ritrovarono perciò in giardino da soli. Lei gli mostrò le piante fiorite durante la sua assenza, lodando il pollice verde delle domestiche che se ne occupavano; in realtà aspettava che fosse Will a parlare. Mentre prendevano il tè, infatti, aveva avuto la netta sensazione che volesse dirle qualcosa che si vergognava a esternare in presenza del Governatore. Aveva ragione: di lì a poco, Will rivelò che stava imparando a tirare di scherma, grazie all’aiuto di un ufficiale della Marina che aveva accettato di dargli qualche lezione.

    «Immagino che tuo padre lo scoprirà, ma non ero sicuro se raccontarglielo o no. Pensi che avrebbe da ridire, Elizabeth?»

    «No, non credo. Che c’è di male?» rispose lei. «Dopotutto, aiuti il signor Brown a fabbricare spade, quindi suppongo che tu possa anche usarle. Dimmi, come te la cavi? Sei bravo?»

    «È presto per giudicare. Faccio del mio meglio, quello sì.»

    Elizabeth accennò un sorriso. «Ricordi quando giocavamo ai pirati? Usavamo sempre dei pezzi di legno come spade.» Adocchiò un ramo spezzato di un giovane albero del giardino, si chinò a raccoglierlo e lo puntò contro il petto di Will. «In guardia!»

    Lui scoppiò a ridere. «Che stai facendo?»

    «Il pirata!» Elizabeth sapeva che quello non era il momento adatto per giocare, se non altro perché l’abito che indossava era poco indicato per certe attività, però non le importava. Voleva recuperare interamente il vecchio senso di familiarità con Will – quella spensieratezza propria dei loro giochi d’infanzia. Non poteva prevedere che un desiderio tanto innocente avrebbe aperto nuovi orizzonti.

    Will, che tendeva sempre ad accontentarla, raccolse a sua volta un ramo spezzato e lo agitò come se fosse una spada. Ben presto iniziarono a “combattere” ed Elizabeth notò una grande sicurezza nei movimenti dell’amico. Si chiese quando avrebbe potuto vederlo esercitarsi con un’arma vera.

    «Arrendetevi» scherzò, tentando di colpirlo. Will deviò l’attacco e, mentre il ramo di Elizabeth s’inclinava, una scheggia di legno le penetrò nella pelle, strappandole un gridolino.

    «Che succede? Ti sei ferita?» Will lasciò subito cadere la “spada”, il sorriso che scompariva dal volto.

    «Non è niente… Solo una scheggia» disse Elizabeth, dopo aver mollato anche lei il ramo.

    «Fammi vedere.» Con delicatezza, lui le prese la mano fra le sue.

    Era così vicino che Elizabeth poteva percepire il calore del suo respiro. Fu allora che le stesse sensazioni provate alla fucina tornarono a insinuarsi in lei: il cuore accelerò i battiti, la gola si strinse.

    Il tempo parve fermarsi ed Elizabeth rimase a guardare il viso di Will, come incantata. Tutt’a un tratto i peli sul mento e sopra il labbro non le sembravano buffi – anzi, s’intonavano alla nuova forma del volto di lui, con quegli zigomi più pronunciati e la linea decisa della mascella inferiore. Poi c’erano le iridi castane e profonde, le ciglia scure, la fronte spaziosa e i capelli ondulati, tirati indietro e raccolti in una coda ordinata. Un ricciolo vagante era sfuggito al nastro perché troppo corto, ricadendo sulla tempia destra. In un gesto istintivo, Elizabeth tentò di sistemarlo dietro l’orecchio con la mano sinistra, dato che l’altra era ancora racchiusa nella dolce stretta di Will; i loro occhi s’incontrarono e lei avvertì un brivido percorrerle la schiena, mentre il cuore le batteva come un tamburo.

    «Non riesco a toglierla» disse Will a bassa voce. «La scheggia, intendo.»

    «Oh.» Elizabeth non seppe cos’altro aggiungere.

    «Non vorrei che si spezzasse, lasciando un’estremità conficcata nella pelle» continuò lui, sempre con quel tono appena percettibile, quasi avesse paura di parlare forte e chiaro.

    «Va bene, non importa, io…»

    «Che succede qui?» esclamò la voce del Governatore Swann.

    Elizabeth trasalì e Will la lasciò andare, come se l’avesse punto una zanzara.

    Il Governatore si avvicinò alla figlia e al suo amico, con le sopracciglia inarcate e l’aria interrogativa. «Ebbene?» li sollecitò, lo sguardo che si spostava dall’una all’altro. Sembrava solo perplesso, ma nei suoi occhi Elizabeth lesse anche un certo senso di allarme.

    «Niente di grave, padre. Stavamo… ehm, giocando un po’.» Fu l’unica risposta sensata che le venne in mente.

    «Giocando?» ripeté l’uomo senza credere alle proprie orecchie. «Elizabeth, per amor del Cielo, non sei più una bambina! Si avvicina il tuo quindicesimo compleanno e tra non molto tempo farai il tuo debutto in società, non puoi più permetterti di assumere atteggiamenti sciocchi e infantili!»

    Lei abbassò la testa e arrossì. Will provò a venire in soccorso: «Vi chiedo scusa, signore, è stata colpa mia. Elizabeth non c’entra niente, ve l’assicuro.»

    Toccata dalla generosità del suo migliore amico, Elizabeth alzò lo sguardo. «Non è vero, padre, la colpa è mia. Sono stata io a proporre a Will di giocare.»

    Di nuovo il Governatore li guardò, prima l’una e poi l’altro. Infine, agitò la mano come per cancellare le parole di entrambi. «Non m’interessa chi ha cominciato, mi basta sapere che non capiterà più. Siete troppo cresciuti per qualsiasi gioco.»

    «Ma…» cominciò Elizabeth.

    «Nessun “ma”. Sai bene che ho ragione. E adesso, figlia cara, ti sarei grato se tornassi dentro. Il sole non fa bene alla tua carnagione e noto che non hai il cappellino.»

    Il Governatore aveva assunto un tono più morbido e affabile, segno che non era arrabbiato; tuttavia, Elizabeth comprese che la faccenda non sarebbe finita lì. Era pronta a scommettere che lui volesse allontanarla per asfissiare il povero Will con una ramanzina sul senso di correttezza. Suo padre aveva sempre preso l’etichetta troppo sul serio.

    Will lanciò a Elizabeth un’occhiata rassicurante, per farle capire che, qualsiasi cosa fosse accaduta, sarebbe stato in grado di gestirla. Tra loro era sempre esistita una sorta di comunicazione silenziosa, talvolta si capivano al primo sguardo. Sollevata che almeno quello non fosse cambiato, Elizabeth annuì e si rivolse al padre: «D’accordo, rientro.» Poi si voltò di nuovo verso Will. «Arrivederci, allora.»

    «Arrivederci, Elizabeth» salutò lui.

    Il Governatore attese che la figlia si fosse allontanata per mettere una mano paternalistica sulla spalla di Will. Elizabeth voleva origliare la conversazione fra i due, ma era ben consapevole che qualcuno dei domestici l’avrebbe vista e sarebbe corso a raccontare tutto a suo padre, perciò decise di lasciar perdere. Di sicuro Will l’avrebbe informata dell’esito di quel colloquio, pensò. Scelse invece di andare a cercare Emily, la più anziana delle cameriere della villa, che avrebbe potuto aiutarla a togliere la scheggia dalla sua mano. Nel frattempo, si sforzò di non rimuginare sulla strana situazione in cui si era trovata con Will, poiché al solo pensiero si sentiva confusa e il cuore le saliva in gola.

    Come immaginava, Emily aveva la soluzione. Servendosi di un ago da cucito, riuscì a estrarre il minuscolo frammento di legno. Si guadagnò un ringraziamento immediato.

    «Oh, non c’è bisogno di ringraziarmi, miss Elizabeth» disse con un ampio sorriso. «È stata una cosa da niente.»

    Elizabeth le sorrise di rimando. Voleva molto bene a Emily, era una donna comprensiva e gioviale, capace di offrire sempre supporto e consigli. In un certo senso, aveva preso il posto della madre che Elizabeth non aveva potuto avere – se non per i primi quattro anni della sua vita, che erano un ricordo lontano e sbiadito. Emily, del resto, tendeva ad avere un atteggiamento materno nei suoi confronti, forse anche perché aveva una figlia poco più grande di lei, Estrella, che il mese successivo avrebbe iniziato a prestare regolarmente servizio alla villa.

    Per il momento non era difficile accantonare ciò che era successo in giardino. Vedere il viso tondo e cordiale di Emily, ascoltare la sua familiare voce un po’ rauca e stare in sua compagnia faceva già sentire Elizabeth più serena. Ma questo non poteva essere sufficiente, a lungo andare…

    Edited by Elizabeth Swann - 28/3/2024, 11:42
     
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    Belli i capitoli che riguardano gli incontri fra Elizabeth e Will, come gli scambi di intese e di sensazioni che li investono. Un bellissimo lavoro, complimenti <3
     
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    Grazie mille :) Non vedo l'ora di sapere cosa ne penserai del primo capitolo della seconda parte, che è ancora inedito (al momento non si trova nemmeno sul mio profilo Wattpad).
     
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    Capitolo terzo
    Dare un colpo al timone

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    «Padre, non parlerete mica sul serio, vero?»

    Elizabeth aveva gli occhi spalancati per lo stupore, mentre l’uomo stava seduto di fronte a lei, nell’enorme salone della loro bella casa. Erano trascorsi un paio di giorni dalla visita di Will, ma non era successo niente che fosse degno di nota… finché il Governatore non aveva deciso d’interferire di punto in bianco nelle amicizie della figlia.

    «Sono serissimo, Elizabeth» le disse con fermezza. «Non andrai più a trovare William Turner – e questo è tutto.»

    «Ma non ha alcun senso!» si ribellò lei. «Perché?»

    «Perché è giunto il momento di dare un colpo al timone» replicò il Governatore. «Temo di essere stato troppo indulgente con voi finora. So che sei molto affezionata al ragazzo, ma non è ammissibile che tu vada alla fucina, tanto meno che rimanga da sola con lui, in qualsiasi luogo. Sarebbe inappropriato e sconveniente. Tu sei un’aristocratica, presto diventerai una vera signora e tutti ti riconosceranno come tale. Lui chi è? Un semplice apprendista, senza nome, senza titolo e senza eredità. Mi dispiace, non potrà mai essere messo sul tuo stesso piano.»

    «Will è mio amico!» protestò Elizabeth, punta sul vivo. «Non vi permetto di parlare di lui come se fosse l’ultimo mendicante sulla strada!»

    «Non ho mai sostenuto che sia un mendicante, ma ciò non vuol dire che sia un nobile. È un bravo ragazzo, non lo metto in dubbio; tuttavia, non può essere la compagnia migliore per te.»

    «Fino a pochi giorni fa non esisteva alcun problema. Abbiamo sempre giocato, parlato, trascorso del tempo assieme. Cos’è cambiato adesso?»

    Il Governatore sospirò. «Penso che tu lo sappia, in fondo. Non è necessario che sia io a spiegartelo.»

    «È perché siamo grandi?» Elizabeth pronunciò quel termine con disprezzo. «Quindi essere grandi significa rinnegare i propri legami d’amicizia?!»

    «No, significa prendere coscienza del proprio posto nella società» ribatté suo padre. «Tu hai il tuo, William ha il suo. Non è possibile travalicare determinati limiti. Se lo desideri, puoi continuare a essergli amica, a condizione di rinunciare a giochi, passeggiate da soli in spiaggia e tutto il resto. Inoltre, dovresti abituarti all’idea che lui utilizzi un tono meno confidenziale; gli ho chiesto di rivolgersi a te in maniera più appropriata e ha accettato.»

    Elizabeth ebbe una fitta al cuore. «Non ci credo» mormorò. «Will non avrebbe mai detto di sì.» Ma dentro di sé sapeva che quelle erano parole vuote, che Will aveva davvero assecondato il volere del Governatore. Non era da lui contrariare l’uomo che l’aveva accolto in casa propria e gli aveva procurato un impiego: a differenza di Elizabeth, era sempre stato più sensibile ai limiti imposti dalla gerarchia sociale. Lei capiva il suo punto di vista, eppure non riusciva a evitare di sentirsi sconvolta, perfino tradita. Come poteva Will farle una cosa simile? Che anche lui considerasse sbagliato il loro rapporto e volesse prendere le distanze da lei?

    «Padre, per favore» implorò. «Non è giusto…»

    Il Governatore scosse il capo, gli occhi tristi come il cielo rannuvolato durante un giorno di pioggia. «È per il tuo bene, Elizabeth. Credimi, col tempo te ne accorgerai.»

    Trattenendo a stento le lacrime, lei corse via e andò a chiudersi nella sua stanza da letto, per sfogare il suo dolore con un pianto liberatorio. Suo padre non reagì, conscio della sofferenza che le aveva causato. Era molto dispiaciuto, ma non sarebbe tornato indietro sulla decisione presa. Nessuno poteva farci niente: il mondo aveva le sue regole e bisognava adeguarsi. Di questo il Governatore era convinto – e non avrebbe cambiato idea.

    Nelle settimane che seguirono, a Elizabeth fu impedito di uscire per vedere Will: ogni suo passo era sorvegliato da una o più domestiche, se non addirittura da suo padre. Solo una volta le fu concesso di andare alla fucina, perché il Governatore voleva discutere col signor Brown della riparazione di alcuni oggetti, che il fabbro stesso aveva realizzato e fatto consegnare alla villa diversi anni prima. Il padre di Elizabeth avrebbe potuto mandare un servitore in sua vece, ma preferì agire diversamente, anche per dare alla figlia l’opportunità di rivedere Will. Non era un uomo senza cuore, si rendeva conto fin troppo bene di quanto fosse difficile per lei stare lontana dal suo compagno di giochi di un tempo.

    Elizabeth, da parte sua, era ancora troppo risentita per provare riconoscenza. Ad ogni modo, capì che non avrebbe avuto senso sciupare un’occasione del genere, perciò tenne a freno la lingua e l’orgoglio, accompagnando suo padre nella bottega del signor Brown.

    L'incontro con Will fu rapido, non ci fu la possibilità di conversare a lungo, al di là dei saluti. Elizabeth si rammaricò nel sentire che lui la chiamava “miss Swann”, ma finse indifferenza e gli chiese se stesse continuando l’allenamento con la spada. Will rispose di sì e le diede perfino una piccola dimostrazione pratica, prima che il signor Brown lo chiamasse per portargli alcuni chiodi. Di lì a poco, Elizabeth e suo padre se ne andarono, non senza che lei gettasse alla spada di Will un’ultima sbirciata. Non capiva granché di scherma, anzi, era piuttosto ignorante in materia, eppure aveva potuto riconoscere una certa grazia nei movimenti abili dell’amico: sembrava che lui sapesse bene ciò che faceva – e, soprattutto, che ne traesse soddisfazione. Era un pensiero consolante; Will era sempre stato più propenso a venire incontro alle esigenze altrui, anziché a prendere in considerazione i propri desideri. Almeno aveva scoperto un’attività che gli piaceva.

    Le “attività” di Elizabeth, d’altro canto, erano sempre più noiose. Forse era lei a essere diventata troppo ribelle e insofferente, fatto sta che non riusciva a rimanere seduta per più di un quarto d’ora a ricamare, sbagliava di continuo le note al pianoforte e giudicava estenuanti le prove degli abiti nuovi che suo padre continuava a procurarle in vista del suo compleanno, col risultato di far spazientire anche la sarta e le domestiche.

    Di solito a Elizabeth non dispiacevano affatto le feste, quindi avrebbe dovuto accogliere con gioia la prospettiva del ricevimento che il Governatore stava organizzando, per celebrare i suoi quindici anni e il ritorno di entrambi da Londra. In questo caso era diverso: troppe cose erano cambiate in quelle settimane. Se fosse stato possibile, Elizabeth sarebbe salita a bordo della prima nave disponibile, per fuggire via! Dato che ciò era fuori discussione, tentò di convincere suo padre a lasciar venire Will alla festa. Se non le era più concesso visitare il suo migliore amico, che almeno lui potesse andare a trovare lei e augurarle buon compleanno…

    Il Governatore, che si aspettava quella pretesa da parte della figlia, provò a essere comprensivo. Accettò di far recapitare un invito ufficiale a Will, ma in realtà era alla ricerca di uno stratagemma per impedirgli di partecipare al ricevimento. Ignara di tutto, Elizabeth si sentì finalmente più bendisposta verso suo padre e lo ringraziò più volte, gettandogli le braccia al collo. Per alcuni giorni fu soddisfatta così, poi un pensiero iniziò a prendere forma nella sua mente: e se ci fosse stato un modo per vedere Will prima della festa? Forse si poteva escogitare un sistema…

    Dopo aver riflettuto a lungo, Elizabeth ideò un piano: sarebbe uscita dalla villa di nascosto, calandosi nientemeno che dal balcone della sua camera. Si trattava di una mossa azzardata, perfino pericolosa, e chissà quale punizione le avrebbe inflitto suo padre se l’avesse scoperta. Esisteva anche il rischio concreto di farsi male nel tentativo. Eppure non c’era alternativa se Elizabeth voleva infilare un messaggio sotto la porta della fucina, allo scopo d’invitare Will a un incontro segreto sulla spiaggia la sera prima della festa.

    Così, all’insaputa di tutti, la figlia del Governatore definì i dettagli del suo piano. Di pomeriggio realizzò una sorta di corda con alcune lenzuola; di notte, quando suo padre era andato a dormire da un pezzo e in casa non si udiva alcun rumore, saltò giù dal letto e cominciò a organizzare il resto della fuga.

    Aprì una cassapanca che conteneva ogni genere d’indumento appartenuto alle donne della sua famiglia, tirò fuori un paio di mutandoni di sua nonna e li infilò. Le arrivavano sotto il ginocchio, quasi fossero calzoni maschili, ed erano più pratici della biancheria che portava di solito. Li coprì con la camicia da notte, calzò le scarpe e mise sulle spalle un mantello leggero col cappuccio. Dopodiché annodò intorno alla ringhiera del balcone la fune realizzata con le lenzuola. Raccolse i capelli in una coda, per evitare che le finissero davanti al viso, e usò altri due nastri per fissare le scarpe ai piedi, nel timore che poi le scivolassero via. Infine, si accinse a scavalcare la ringhiera.

    Era una notte serena, una leggerissima brezza soffiava dal Mar dei Caraibi. Elizabeth aveva le mani sudate e la gola secca. Nella tasca del suo mantello, il biglietto destinato a Will era una presenza invisibile ma costante. Sarebbe riuscita davvero a consegnarglielo? Ora che era giunto il momento di passare all’azione, doveva ammettere di avere una gran paura. C’era la seria eventualità che qualcosa andasse storto. Forse sarebbe stato meglio lasciar perdere…

    Guardò la luna che splendeva alta nel cielo. Le tornarono in mente le storie di pirati che aveva letto innumerevoli volte. Storie di avventure, di libertà, di trasgressione. I pirati erano sempre coraggiosi e sprezzanti del pericolo, non si tiravano mai indietro. Doveva prendere esempio da loro, almeno in questo. Fece un gran respiro e sollevò la gamba oltre le sbarre metalliche che cingevano il balcone.

    Calarsi giù fu un vero incubo. Elizabeth ringraziò il Cielo di possedere una certa agilità e di aver imparato ad arrampicarsi sugli alberi da bambina, altrimenti non sarebbe mai stata capace di compiere un’impresa simile. La sua camera non si trovava molto in alto, era solo al secondo piano della villa, ma ciò era sufficientemente rischioso, a meno di non essere abituati a entrare e uscire dalle finestre come ladri. Stringendo la fune improvvisata con tutta la forza che aveva, Elizabeth lasciò scivolare le gambe verso il basso e pregò che ogni cosa andasse per il meglio.

    Quando i suoi piedi toccarono terra, quasi non riusciva a crederci. Le girava la testa per l’emozione e lo sforzo. Si concesse qualche istante per riprendersi, traendo altri lunghi e profondi respiri. Appena fu abbastanza salda sulle gambe, indossò il cappuccio e si diresse verso la recinzione della villa, pronta a scavalcare anche quella.

    Port Royal era immerso nella quiete, le strade erano buie e deserte. Elizabeth impiegò un’eternità a raggiungere la sua meta e più volte temette di aver sbagliato strada. Quando avvistò la sagoma familiare della fucina, provò l’impulso di piangere dal sollievo. Con mano tremante estrasse il biglietto dalla tasca, per infilarlo nella fessura sotto il battente. Si appoggiò al muro e tentò d’immaginare la reazione di Will mentre leggeva il messaggio.

    Di sicuro sarebbe rimasto sorpreso, ma che altro? Si sarebbe rallegrato o inquietato? Avrebbe acconsentito a incontrare Elizabeth di nascosto? Lei non poteva che augurarsi di sì. Era l’unica possibilità che avevano per parlare a tu per tu.

    Con un’ultima occhiata alla porta, Elizabeth si costrinse a prendere la via di casa. Doveva sbrigarsi: prima se ne andava, meno probabilità c’erano che qualcuno si accorgesse della sua scomparsa. Stavolta il tragitto le parve meno lungo, ma era esausta quando si apprestò a risalire fino alla sua stanza. Quasi si gettò a terra, non appena fu al sicuro sul balcone. Ce l’aveva fatta, grazie a Dio! Aveva le mani e le spalle doloranti, però era tutta intera!

    Si raddrizzò, sciolse il complicato nodo che fissava la “fune” alla ringhiera, portò dentro le lenzuola e le nascose sotto il letto. L’indomani, decise, si sarebbe alzata presto e avrebbe disfatto il resto dei nodi; al momento voleva sdraiarsi e dormire.

    Fu mentre si sfilava i vecchi mutandoni che si accorse di qualcosa d’insolito: il tessuto era macchiato di rosso in corrispondenza del cavallo. Allarmata, Elizabeth si rese conto che si trattava di tracce di sangue… e che ce n’erano altre nella parte più interna delle sue cosce.

    Perché stava sanguinando? Non si era mica fatta male, cosa poteva esserle successo?

    Pensò di lavarsi, ma quell’opportunità le era preclusa. Di solito le cameriere le portavano un po’ d’acqua calda al mattino: se avesse cercato di procurarsela nel bel mezzo della notte, avrebbe svegliato la servitù – e forse anche suo padre. Non sapendo che altro fare, indossò una camicia da notte nuova e stese un asciugamano pulito sul letto, per evitare di macchiarlo. L’emorragia non era abbondante, eppure non accennava a fermarsi.

    Con un peso sul cuore, chiedendosi se per caso avesse contratto qualche strana malattia, Elizabeth si sdraiò sulla schiena. E pensare che era stata così orgogliosa di sé, dopo la prodezza incredibile che aveva portato a termine! Si domandò se sarebbe riuscita ad addormentarsi, o se la preoccupazione sulla sua salute avrebbe allontanato il sonno. Dovette girarsi e rigirarsi più volte, prima di scivolare in una sorta di cupo dormiveglia.

    Edited by Elizabeth Swann - 28/3/2024, 12:32
     
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    Capitolo quarto
    Una donna e un uomo

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    Quando Elizabeth tornò alla consapevolezza, era ormai mattino inoltrato. Qualcuno stava bussando alla porta della sua stanza.

    «Miss Elizabeth? Siete sveglia?»

    Era Emily. Elizabeth si rizzò a sedere, intontita. Aveva mal di stomaco e i muscoli del corpo tutti indolenziti. Ci volle qualche istante perché i ricordi della notte passata le riaffiorassero alla mente.

    «Miss Elizabeth?» ripeté la voce di Emily. «Comincia a essere tardi, vostro padre vorrà vedervi. Posso entrare?»

    Elizabeth sbirciò sotto le lenzuola e notò altre macchie di sangue sulla sua camicia da notte. Se c’era qualcuno in grado di aiutarla in quel momento, era proprio Emily. «Avanti» disse, dopo essersi schiarita la gola.

    L’anziana cameriera varcò la soglia della stanza e si chiuse la porta alle spalle. Aprì le tende per lasciar entrare la luce del sole e sorrise alla sua giovane padrona, ma il sorriso si spense quando l’ebbe guardata bene in volto.

    «Non avete dormito? Siete molto pallida» osservò, le sopracciglia aggrottate per la preoccupazione.

    «Temo di non sentirmi bene» rispose Elizabeth. «Stanotte ho… ho trovato qualcosa sui miei abiti e non mi spiego come sia potuto accadere.»

    «Cos’avete trovato? Spiegatemi, forse è un problema che posso risolvere.»

    «Ecco… del sangue» ammise Elizabeth, abbassando lo sguardo. «Non capisco da dove venga, non ho nessuna ferita, almeno di che mi risulti. Ho dovuto mettere un asciugamano sul letto per non correre il rischio di sporcarlo…»

    Emily spalancò gli occhi, come se avesse avuto un’illuminazione. «Ditemi, è qui in basso che state sanguinando?» Con un gesto della mano indicò il proprio grembiule bianco in corrispondenza del bacino.

    Elizabeth annuì, riluttante. «Non fa male, però.» Era vero: aveva dolori al ventre e in altre parti del corpo, ma era sicura che fossero dovuti alla sua “avventura” notturna.

    «Ebbene, adesso è tutto chiaro.»

    «Allora l’hai già visto succedere? Non è una cosa grave, vero?»

    «No, miss Elizabeth, non dovete agitarvi.» Le rughe intorno alla bocca di Emily si sollevarono, lo sguardo si accese di simpatia e comprensione. «Non si tratta di una malattia, né di un infortunio. Avete iniziato ad avere i vostri corsi, tutto qui.»

    «Ho iniziato ad avere che cosa?» esclamò Elizabeth senza capire.

    «I vostri corsi. Da adesso in poi sanguinerete una volta ogni mese per alcuni giorni. Capita a tutte le ragazze, intorno a una certa età.»

    Elizabeth sbarrò gli occhi. «Vuoi dire che è naturale?»

    «Esatto. Alla mia Estrella è successo per la prima volta proprio quando si avvicinava ai quindici anni» rivelò Emily, sempre con quella sua voce rassicurante. «Significa che siete abbastanza grande per avere dei figli.»

    «Oh.» Era una notizia sconvolgente, un fulmine a ciel sereno. Elizabeth aprì la bocca e la richiuse, senza che ne uscisse alcuna frase di senso compiuto.

    «Siete diventata una donna, miss Elizabeth. Un giorno potrete metter su famiglia e… Oh, non deve accadere subito» si affrettò a precisare Emily, accortasi che la sua padrona era diventata bianca come un cencio. «Passerà ancora qualche anno. Siete giovane e dovrete trovare lo sposo adatto. Da che mondo è mondo, ci vogliono una donna e un uomo per fare bambini.»

    Elizabeth era frastornata. Una donna? Lei? Di già? D’accordo, negli ultimi tempi era cresciuta un po’ e i suoi abiti erano più ricercati, ma per molti versi non si reputava che una ragazzina. Le donne che conosceva avevano quasi tutte un seno generoso, maniere impeccabili e la capacità di rimanere sedute per ore a ricamare o a conversare. Perfino le ragazze che aveva incontrato a Londra, suppergiù sue coetanee, erano ben più femminili di lei nel fisico e nei modi. Elizabeth non era formosa, né aveva un carattere paziente e arrendevole. Sentiva di avere poco in comune anche con le ragazze più movimentate, che si fingevano buone e zitte, ma in realtà erano furbe, vivaci e con la mente pronta. Non che si considerasse migliore di loro; semplicemente non ne condivideva l’entusiasmo per i pettegolezzi, gli scandali e la vita mondana.

    Le piacevano i bei vestiti, il lusso e i balli di gala, eppure c’erano altre cose che le interessavano: la vela, i viaggi in mare, le storie di pirati. Era una sognatrice, a suo modo, e preferiva fantasticare sulle leggende che riguardavano grandi capitani e spietati corsari, anziché sparlare delle persone che la circondavano, o pensare tutto il santo giorno a cosa indossare per il prossimo ricevimento. Le dispiaceva essere stata il pesce fuor d’acqua e non incolpava le altre ragazze per questo… ma era palese che aveva attitudini diverse. Come si sarebbe abituata da un giorno all’altro a essere una donna, se lei per prima non si sentiva tale?

    Emily si accorse del suo turbamento e ammorbidì ulteriormente il tono: «Non c’è nessuna fretta, è normale che abbiate bisogno di tempo per adattarvi al cambiamento. Posso informare io vostro padre, se lo desiderate. Sarò discreta e non scenderò nei particolari.»

    «Ti ringrazio, Emily, ma sei sicura che sia opportuno farglielo sapere?» chiese Elizabeth, incerta.

    «Queste sono cose da donne, sì, però si tratta pur sempre di vostro padre. Credo che abbia il diritto di conoscere la novità.»

    «D’accordo. Allora diglielo tu, per favore.»

    «Altri uomini della casa non sapranno nulla, ve lo prometto» aggiunse Emily. «Adesso dobbiamo occuparci degli aspetti più pratici. Vi procurerò delle pezze pulite per assorbire il sangue e dovrete indossarle insieme con la biancheria. Avete dolori di stomaco, crampi o altri sintomi del genere? Badate che sono molto comuni in questi momenti. Se li avete, vi preparo un infuso.»

    Elizabeth si abbandonò contro i cuscini. «Un infuso sarebbe meraviglioso, grazie.»

    «Metto l’acqua a bollire. Ah, immagino che vogliate lavarvi; avviserò le altre cameriere» disse Emily, dirigendosi verso la porta.

    «Aspetta!» la fermò Elizabeth. «Prima ho alcune cose da chiederti.»

    «Va benissimo, dite pure.»

    «Ecco… come funziona la questione dei bambini? Perché c’è bisogno che una donna perda sangue?» Era imbarazzante porre quelle domande, ma Elizabeth voleva saperne di più a tutti i costi. Si chiese perché nessuno l’avesse informata prima di determinati argomenti, dato che erano così importanti.

    «Miss Elizabeth, non sono un medico.» Emily si torse le mani davanti al grembiule, come faceva quand’era a disagio per qualsiasi motivo. «Non conosco i dettagli. Posso solo dirvi questo: se una donna, dopo essere stata con un uomo, smette di avere sanguinamenti una volta ogni mese, significa che aspetta un bambino. Ma bisogna che sia stata con un uomo, capite? Altrimenti può capitare che i corsi saltino o ritardino qualche volta. Non tutte le donne li hanno regolari, specie all’inizio.»

    «E con l’uomo… che succede di preciso?» incalzò Elizabeth, arrossendo.

    Emily trasalì. «Meglio non parlare di fatti del genere prima del tempo. Siete giovane per prendere marito… Vedrete che, quando arriverà l’ora di scegliere l’uomo adatto a voi, ne saprete di più.»

    Rassegnata, Elizabeth annuì. Non aveva la forza d’insistere, nonostante volesse farlo. Congedò Emily e aspettò che tornasse con l’occorrente promesso. Sperò di abituarsi davvero a quella faccenda del sanguinamento mensile, perché sembrava un affare poco gradevole. Possibile che tutte le donne lo sopportassero come se nulla fosse? Era così bizzarro, così scomodo!

    Nei giorni che seguirono, poiché Emily non forniva risposte di nessun tipo, Elizabeth decise di andare a cercarle nella biblioteca della villa: suo padre possedeva moltissimi libri, forse ce n’era qualcuno che avrebbe fatto al caso suo. S’intrufolò dunque in biblioteca, quando ebbe la certezza che fosse vuota, e iniziò a passare in rassegna gli scaffali, alla ricerca di qualche testo di medicina. Sfortunatamente per lei, quello che trovò parlava di anatomia maschile ed era scritto in maniera piuttosto complicata. Conteneva anche delle illustrazioni, che Elizabeth trovò un po’ inquietanti, malgrado le avessero suscitato una buona dose di curiosità. Ce n’era una in particolare che raffigurava un uomo nudo dalla testa ai piedi. Con la fronte corrugata, Elizabeth ne studiò le fattezze, soffermandosi sulla parte inferiore del corpo. Allora un maschio era fatto così?

    Un rumore di passi in corridoio le causò un sussulto. E se qualcuno fosse entrato in biblioteca – suo padre, magari? Non poteva trovarla con quel libro in mano! In fretta e furia, Elizabeth lo mise a posto, vergognandosi anche solo di averlo sfogliato. Forse aveva ragione Emily ed era meglio non scoprire quelle cose prima del tempo…

    Augurandosi di non avere l’aria colpevole, Elizabeth si affacciò alla porta. Il corridoio era vuoto: chiunque fosse passato non era diretto in biblioteca. Con un sospiro di sollievo, la giovane figlia del Governatore si dileguò nella sua camera.

    Il giorno dopo era di nuovo agitata, sebbene per altri motivi. Quella notte, infatti, sarebbe dovuta scendere fino alla spiaggia per incontrarsi con Will. Non aveva modo di sapere se lui si sarebbe presentato, poiché non c’era verso di ricevere sue notizie; poteva solo sperare che avesse trovato il messaggio da lei lasciato e fosse disposto ad andare all’appuntamento. Per gran parte della mattina e del pomeriggio, Elizabeth non pensò ad altro che a lui. E se avesse preferito non incontrarla, reputandola un’incosciente per aver voluto correre un rischio del genere? D’altra parte, considerato quant’era difficile vedersi, non sarebbe stato meglio per entrambi cogliere l’occasione?

    Quando la villa fu avvolta dalle tenebre e dal silenzio, Elizabeth ripeté tutte le operazioni della prima volta. Modificò soltanto l’abbigliamento: invece della camicia da notte, indossò il più semplice e sguarnito dei suoi vestiti, che non portava più da quasi due anni e ormai le andava corto, ma aveva il vantaggio di essere più comodo degli altri della misura giusta. Per fortuna, scomparsi i dolori al basso ventre dei giorni precedenti, lei si sentiva molto meglio. Riuscì a calarsi dal balcone senza troppe difficoltà e si lasciò alle spalle la sagoma imponente di casa sua.

    Temeva di essere costretta ad aspettare Will a lungo, ma lui era già in spiaggia ad attenderla. La salutò con titubanza: «Buonasera… ehm, miss Swann.»

    Lei sospirò. Così si cominciava proprio male! «Non farlo, Will. Per favore, chiamami Elizabeth.»

    Lui si guardò i piedi. «Non è appropriato.»

    «Pensi che m’importi? Non so cosa ti abbia messo in testa mio padre e non m’interessa: ti considero ancora il mio migliore amico.»

    «È gentile da parte vostra…»

    «Will.» Elizabeth digrignò i denti. «Smettila con questi formalismi! Guardami in faccia, sono sempre io. E siamo su una spiaggia da soli, in piena notte… Dubito che a qualcuno interessi se il nostro comportamento è corretto o no!»

    Lui alzò la testa e cercò i suoi occhi. «A proposito… potrei sapere perché hai voluto che c’incontrassimo? E come hai fatto a… a uscire di casa a quest’ora?»

    Esitava, però aveva abbandonato le cortesie inutili. Sollevata, Elizabeth rispose: «Volevo parlare con te della mia festa di compleanno di domani sera. Hai ricevuto l’invito?»

    Will assentì.

    «Verrai? Sai, non mi piacerebbe dover festeggiare senza di te.»

    «Se per te è importante, verrò.»

    «Grazie. Significa molto per me, davvero» disse Elizabeth. «Mi sei mancato» aggiunse in un soffio, il cuore che si gonfiava al pronunciare quelle parole. Era stato così duro trascorrere tutti quei giorni con la consapevolezza che le fosse proibito andare da lui…

    «Mi sei mancata anche tu» confessò Will, «ma temo che dovremo abituarci.»

    «A vederci di nascosto?» tentò di scherzare lei, benché il nocciolo della questione fosse un altro.

    «No, a incontrarci poche volte. Non possiamo più permetterci di fare quello che facevamo un tempo… Siamo cambiati.»

    «Io mi sento sempre la stessa» sussurrò Elizabeth, ma proprio all’ultimo la sua voce s’incrinò. Non era vero, sapeva di essere diversa… e la macchia scura tra le sue gambe lo confermava. In effetti, era ciò che le aveva impedito di correre ad abbracciare Will: le dava la sensazione di essere un po’ sporca, benché lei si fosse assicurata più volte che il vestito fosse rimasto pulito. Ripensò al giorno in cui era tornata a Port Royal, alla riluttanza di Will quando lo aveva stretto tra le sue braccia. Ora sì che ne comprendeva la reazione! Se non altro, però, fuliggine e sudore erano visibili a tutti. Non si poteva dire altrettanto del sangue che lei stava perdendo…

    «In realtà siamo sempre stati diversi» affermò Will, dopo una breve pausa di silenzio. «Solo che prima si notava di meno. Vorrei anch’io che restassimo quelli che eravamo, ma non è possibile. Dobbiamo accettarlo.»

    «Non voglio rinunciare alla nostra amicizia.» Sangue o no, disagio o meno, Elizabeth era irremovibile su questo. «Dimmi che sei ancora mio amico.»

    Will parve sorpreso. «Certo che lo sono. Non dubitarne mai, Elizabeth.»

    Quelle parole dirette e sincere la commossero. «Allora potrò sempre contare su di te?» si assicurò, speranzosa.

    «Sì, te lo prometto.»

    «Sono contenta. Avevo paura che mio padre ti avesse convinto che la nostra amicizia è sbagliata…»

    «Non giudicare male tuo padre. Vuole solo il meglio per te, lo sai.»

    Elizabeth scosse la testa e agitò la mano. «Non pensiamo a lui. Raccontami di te, che hai fatto ultimamente? Come vanno le cose a casa dei Brown?»

    «Sto bene. Purtroppo per tutti, la signora Brown non accenna a riprendersi.»

    «Dimmi di più» insistette lei. «Sono settimane che non parliamo.»

    Will iniziò a entrare nei dettagli del discorso e presto i due amici furono immersi in una fitta conversazione. Elizabeth si rilassò, cullandosi nel senso di sicurezza che le dava la presenza di lui. Era meraviglioso ritrovarsi a essere la stessa ragazza di una volta. Ebbe qualche difficoltà quando toccò a lei raccontare le proprie esperienze e attività recenti, ma in generale la chiacchierata andò per il verso giusto.

    «Pensavo ti piacessero le feste» commentò Will, dopo che ebbe ascoltato le sue lamentele sui preparativi per il compleanno.

    «Di solito sì. Non in questo caso: è diventato tutto troppo impegnativo, troppo “ufficiale”… persino i miei abiti!»

    «Me ne sono accorto. Vesti come una vera signora dal tuo ritorno da Londra.» C’era una nota di ammirazione nella voce di Will ed Elizabeth ne fu lusingata, sebbene per un solo istante.

    «È scomodo. Impiego quasi il doppio del tempo a prepararmi e devo prestare attenzione quando cammino. Spero che domani sera eseguirò i passi di danza giusti.»

    «Sono sicuro che sarai brava. Riesci a fare qualsiasi cosa, se vuoi.»

    Elizabeth avvampò. Si accorse che anche Will era imbarazzato, perché si stava di nuovo fissando i piedi. Ammutolita, rimase ad ascoltare i battiti furiosi del suo cuore, che pareva volerle uscire dal petto… Era peggio del pomeriggio in cui lui le aveva preso la mano nel giardino della villa! In quell’occasione era riuscita a spiccicare verbo, stavolta proprio niente. E poi da quando in qua Will le rivolgeva dei complimenti così espliciti? La faccenda era sempre più complicata.

    Per tranquillizzarsi, Elizabeth respirò la fresca aria salmastra. Il mare era calmo, le onde lambivano la riva e producevano un suono confortante. Lei si sforzò di parlare in tono leggero: «Domani ballerai anche tu?»

    Will sobbalzò. «Io? Oh, no, è fuori discussione. Anzi, stavo… stavo per dirtelo.»

    «Perché non vuoi ballare?»

    «Non so come si fa. Non ho mai imparato.» Will si aggiustò il colletto della camicia, sempre tenendo lo sguardo basso.

    Elizabeth si giudicò stupida per non aver previsto quell’aspetto della faccenda. D’altronde, per lei ballare era naturale: aveva imparato i primi passi sin da molto piccola. «Non c’è nessuno che possa insegnarti?» chiese.

    «E chi? No, rimarrò in un angolo ad ammirare gli altri ballerini. È la soluzione migliore.»

    «Mi dispiace, non ci avevo pensato. Forse potrei mostrarti qualche passo?» suggerì lei, esitante.

    Will strabuzzò gli occhi. «Adesso?!»

    «Ebbene, perché no? Ho anche un vestito comodo.» Elizabeth capì che si stava comportando in maniera assurda, ma non era in grado di evitarlo. Dentro di lei qualcosa le diceva che avrebbe peggiorato la situazione; eppure, al tempo stesso, l’aveva invasa la certezza di dover cogliere al volo una buona opportunità. Will sarebbe stato costretto a mantenere le distanze durante la festa… e chissà in quanti altri frangenti. Se il loro destino doveva essere un’amicizia intralciata di continuo dalle regole della società, tanto valeva approfittare di quel poco di spensieratezza rimasta. Erano da soli, in uno dei luoghi della loro infanzia. Nessuno avrebbe potuto sgridarli.

    Will deglutì, l’indecisione scritta sui suoi lineamenti. Infine, le rivolse un cenno affermativo col capo. «D’accordo, mostrami qualche passo.»

    Danzare sulla spiaggia non era l’ideale, però era sufficiente un pizzico di buona volontà per riuscirci. Elizabeth accennò un motivetto a bocca chiusa e iniziò a muovere i piedi. A un certo punto offrì la mano a Will, affinché si unisse a lei – e lui accettò subito, in silenzio, malgrado la sua dichiarata incapacità di ballare. Elizabeth provò a guidarlo nei passi, indirizzando i suoi movimenti, ma Will non si dimostrò all’altezza del compito di starle dietro. Avrebbe potuto prenderlo in giro per quella goffaggine, invece non osava. Si sentiva quasi altrettanto impacciata, le mancava il fiato, le sudavano le mani. Cercò di convincersi che fosse colpa del suo stato, che diventare una donna l’avesse resa più fragile… Confusione e delusione si mescolarono in lei, implacabili.

    Will non era di aiuto. Non faceva che scusarsi perché le pestava i piedi, o perché inciampava nei propri, oppure nella sua gonna. Aveva un’espressione mortificata che, se tutto fosse stato un gioco, le sarebbe parsa comica.

    «Attento, per favore!»

    «Elizabeth, sono un disastro. Lasciamo perdere, non…»

    «Ssh!» sibilò lei, ostinata. «Continuiamo.»

    Will ubbidì con aria sconfitta. Riuscì a eseguire due passi correttamente, perciò Elizabeth gli rivolse uno sguardo di approvazione. «Ecco, così va meglio. Provaci di nuovo.»

    Lui ripeté le stesse mosse.

    «Hai visto? Ce la puoi fare» disse lei, incoraggiante.

    «Il merito è tuo» replicò Will, guardandola negli occhi. Non sembrava ancora del tutto a proprio agio, ma aveva acquisito un minimo di sicurezza. Un’ondata di rossore tornò a invadere le guance di Elizabeth, mentre il suo intero corpo pareva riscaldarsi. D’un tratto lei fu più consapevole della vicinanza con Will, molto più accentuata di quanto fosse stata dal giorno del tè a casa sua. Era combattuta tra l’impulso di allontanarsi e la voglia di allungare una mano per toccargli il viso, seguendo con le dita il profilo ben delineato degli zigomi e del mento.

    Si rese conto di non aver mai trovato Will Turner bello. Ricordava vagamente di averlo considerato carino, malgrado la magrezza e il pallore del volto, quando aveva contribuito a salvarlo dal naufragio che gli era quasi costato la vita… ma “carino” era un aggettivo che avrebbe potuto applicare a qualsiasi persona, o perfino a un animaletto domestico, per esempio al gatto di sua zia Catherine. La bellezza era un’altra cosa. Ciononostante, se lì sulla spiaggia le fosse stato chiesto di descrivere Will, avrebbe detto che era bello – per il viso e anche per la struttura fisica. Non solo nell’ultimo anno era cresciuto in altezza, ma sembrava avere più muscoli, perché le spalle erano meno esili di un tempo, così come le braccia; si notava soprattutto quando piegava i gomiti. Aveva mani salde, dita forti, una presa ferma. Stava diventando un uomo.

    Quella rivelazione, ovvia ma travolgente, investì Elizabeth con l’irruenza di una secchiata d’acqua in testa. Le tornò in mente il libro di anatomia che aveva sfogliato in biblioteca, con tanto di illustrazioni, e il desiderio di fuggire prevalse sul resto. Lasciò andare Will, quasi avesse paura di lui, e indietreggiò. In realtà non aveva paura, però era tutta scombussolata. Le parole di Emily le echeggiavano nelle orecchie: “Ci vogliono una donna e un uomo per fare bambini”…

    «Elizabeth?» Will sbatté le palpebre, disorientato dalla sua reazione.

    «M-mi dispiace, devo andare» balbettò lei. «Qualcuno potrebbe svegliarsi e accorgersi della mia assenza… Ci vediamo alla festa!»

    «Ma…»

    «Mi raccomando, domani sera non tardare!» Fatta questa sollecitazione, Elizabeth agitò la mano verso l’amico e corse via.

    Più tardi, quando fu al sicuro nella propria stanza, si disse che si era comportata da sciocca. Anche se lei e Will erano una donna e un uomo, avevano compiuto azioni semplici e banali: di certo non era in quel modo che si facevano i bambini! Troppe emozioni incontrollabili l'avevano sopraffatta…

    In punta di piedi, si avvicinò al cassettone dentro cui teneva un tesoro segreto: il medaglione d’oro sottratto a Will. Lui non ne sapeva niente, era convinto di averlo perduto durante il naufragio. Elizabeth avrebbe potuto restituirglielo, ma all’inizio aveva troppa paura che gli causasse dei guai, trattandosi di un gingillo pirata, e ormai non riusciva a separarsene. Ignorava come un oggetto simile fosse finito in mano a Will, però gli apparteneva lo stesso – e lei si era scoperta più che bendisposta a custodire qualcosa di suo. All’insaputa di tutti, aveva addirittura portato con sé il medaglione a Londra.

    Che significato avevano gli avvenimenti di quell’ultimo periodo? L’impressione di Elizabeth era che ogni cosa intorno a lei stesse mutando… ma non solo, anche dentro di lei. Era l'aspetto che più la turbava dell'intera questione: non si sentiva pronta ad affrontare i cambiamenti del suo corpo, né l'abbandono del legame confidenziale con Will, quel legame che fino a poco tempo prima era così facile da mantenere. Naturale come respirare, pensò Elizabeth. Peccato fosse diventato difficile quanto trattenere il fiato sott’acqua per un quarto d’ora!

    Strinse forte il medaglione nella mano destra. L’indomani – o meglio, quella sera, dato che non mancava molto all’alba – la attendeva la sua festa di compleanno. Un sesto senso le diceva che anche quella sarebbe stata una sfida, una prova, e che lei avrebbe dovuto trovare il modo di superarla. Poteva riuscirci? Forse non si era mai sentita tanto smarrita in tutta la vita e l’unica risposta che le risuonava in testa era “no”. Andò a dormire con l’ansia che le attanagliava lo stomaco, la mente affollata dai pensieri e dai dubbi, le membra doloranti per la stanchezza.


    Fine Parte Prima



    Edited by Elizabeth Swann - 28/3/2024, 19:28
     
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    Parte Seconda – Will

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    «Will, how many times must I ask you to call me Elizabeth?»

    «At least once more, miss Swann. As always.»


    From “The Curse of The Black Pearl”,
    Scene II



    Capitolo primo
    Una visita inattesa



    Quella mattina Will andò a lavorare con una sensazione di vuoto allo stomaco, la mente piena di ricordi su Elizabeth. L’appuntamento notturno sulla spiaggia gli aveva lasciato addosso un miscuglio d’imbarazzo e confusione, tanto che ripensare a cos’era successo da quando lei era tornata a Port Royal bastava a farlo diventare tutto rosso.

    Di recente Will non aveva avuto un gran controllo sulle proprie emozioni… e la situazione peggiorava se Elizabeth era coinvolta. Gli sembrava sempre di parlare troppo o troppo poco in sua presenza, si sentiva impacciato e sciocco nell’arrischiare complimenti, era costantemente preoccupato di dirle qualcosa d’inopportuno o rendersi ridicolo di fronte a lei. Per di più il Governatore disapprovava la loro amicizia, nonostante la cordialità e l’indulgenza dimostrate in passato nei confronti del “povero ragazzo orfano”, come lo chiamava lui durante le conversazioni con altri adulti.

    In effetti, era un miracolo che Elizabeth fosse riuscita a sgattaiolare fuori di casa senza essere scoperta: c’era da scommettere che suo padre la stava tenendo sotto sorveglianza a tutte le ore! Ma non era solo questo il problema. Quando il Governatore aveva parlato con Will nel giardino della villa, settimane prima, era diventato chiaro che niente sarebbe stato più come un tempo. Anche in mancanza di un’esplicita richiesta di rinunciare all’amicizia con Elizabeth, Will aveva capito di dover prendere pian piano le distanze da lei… Una soluzione molto semplice in teoria, ma difficile da mettere in pratica.

    «Ragazzo!» esclamò il signor Brown, riportando il suo apprendista al presente immediato. «Che diamine fai? Smettila di gingillarti col fuoco e non smuovere la legna! Non vedi che la fiamma è buona?»

    Will arrossì e maledisse fra sé la sua scarsa concentrazione.

    Il signor Brown bofonchiò qualcosa a proposito dei “giovincelli col prosciutto sugli occhi”, poi gli intimò di levarsi di torno, benché senza vera scortesia dietro il consueto tono burbero. Will si mise in disparte, stropicciandosi le mani sul grembiule. Di solito era un allievo più attento alle direttive del maestro, ma la sua mattinata non era partita col piede giusto. Del resto, anche la lezione di ballo sulla spiaggia era stata un colossale fallimento: aveva solo dimostrato a Elizabeth quanto lui fosse privo di grazia nei passi. Lei, invece, era così carina nel semplice vestito che indossava… e l’armonia dei suoi movimenti la rendeva elegante, eterea…

    Will tentò di scacciare quell’immagine dalla mente. Perdersi in certe fantasie equivaleva a imboccare un terreno pericoloso. Chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso, come per cancellare i propri pensieri. Si massaggiò la fronte e trasse un respiro profondo.

    Il signor Brown lo chiamò di nuovo, borbottando ordini. Will lo raggiunse. Riuscì a eseguire ciò che gli veniva chiesto senza combinare guai, finalmente un po’ più saldo e sicuro. Cominciava giusto a sentirsi di buonumore quando arrivarono dei clienti.

    Non erano uomini qualsiasi, ma tre ufficiali d’alto grado della Marina, accompagnati nientemeno che dal Governatore. Quest’ultimo raccontò di essersi unito a loro per puro caso, dopo averli incontrati nel corso di un giro mattutino in carrozza.

    «È una giornata incantevole» commentò, con un largo sorriso sulle labbra. «L’ideale per fermarsi a chiacchierare con qualcuno.»

    Will ebbe l’impressione che quella facciata spensierata nascondesse il vero stato d’animo del padre di Elizabeth. Una simile allegria solo perché fuori c’era bel tempo gli sembrava esagerata, falsa. Non si sbagliava: appena gli ufficiali furono impegnati in una conversazione con il suo maestro, per spiegare quali e quante spade nuove occorressero loro, il Governatore gli si avvicinò con una scusa. Buttò lì due frasi di circostanza, poi disse a bruciapelo: «C’è un altro motivo per cui ho deciso di passare di qui questa mattina.»

    Will si limitò ad attendere in silenzio il resto del discorso.

    «Se ben ricordi» proseguì il Governatore, «ti è stato recapitato un invito ufficiale alla festa di compleanno di mia figlia.»

    «Ebbene, signore, è stato molto generoso da parte vostra concedermi un tale privilegio» lo ringraziò Will a quel punto. Sapeva quanto l’uomo apprezzasse le buone maniere.

    «Non fingerò che si sia trattato di una mia idea, William.» Il Governatore non sorrideva più, anzi, aveva un’espressione severa. «È stata Elizabeth a insistere affinché tu venissi incluso nella lista degli invitati, non io.» Sospirò, tirando fuori un candido fazzoletto dalla tasca del panciotto ricamato. «Purtroppo, capita che il temperamento impetuoso di mia figlia offuschi il suo giudizio. Ritengo, invece, che in questo caso tu abbia abbastanza buonsenso da comprendere e accettare la realtà dei fatti.» Si tamponò il viso più volte e lanciò a Will un’occhiata eloquente. «Non parliamo di un ricevimento informale, ma di un ballo di gala al quale parteciperanno le famiglie più nobili e influenti della città. Elizabeth sarà molto impegnata, perciò non riuscirà a dedicarti che una minima parte del suo tempo – e dubito che potrai contare sulla compagnia di qualcun altro.»

    Ormai Will aveva capito dove volesse andare a parare il Governatore. «Desiderate quindi che io non venga alla festa?» gli chiese.

    «Temo che mia figlia non abbia considerato le reali implicazioni dell’invito» replicò l’uomo per tutta risposta. «Ma tu, William… tu sai qual è il tuo posto. Non è vero?»

    La punta delle proprie scarpe divenne d’un tratto molto interessante per Will, che chinò la testa. Anche nella fucina semibuia si notava che la pelle era sbiadita e consumata, mentre la suola – nonostante fosse stata riparata qualche settimana prima – minacciava di staccarsi. Sforzandosi di incontrare lo sguardo del suo interlocutore, Will mormorò: «Certo, signore.»

    «Allora converrai con me che rinunciare alla festa è la decisione più saggia. In caso contrario, si verrebbe a creare una situazione incresciosa: la maggior parte degli invitati finirebbe per fare domande sul tuo conto – e per Elizabeth sarebbe alquanto disdicevole, per non dire umiliante, trovarsi costretta a spiegare la ragione della tua presenza. Naturalmente non vorresti che lei si sentisse a disagio, o che la sua reputazione venisse messa in discussione.»

    «No, signore. Mai.»

    «Ottimo» approvò il Governatore. «Ho la tua parola, dunque, che stasera ti terrai lontano dalla villa?»

    Le guance di Will bruciavano. Il sangue gli pulsava con forza nelle vene e le viscere si torcevano come serpenti, dandogli la sgradevole sensazione che nel suo stomaco si fosse formato un buco. «Sì. Avete la mia parola.» Che fatica riuscire a fare quella promessa! Per un attimo il volto deluso di Elizabeth comparve davanti agli occhi di Will, e il suo cuore sussultò al pensiero che la sua azione la ferisse. L’ultima cosa che lui voleva era causarle dolore, specie dopo averle assicurato che sarebbe andato al ricevimento…

    «Ottimo» ripeté il Governatore. Era sul punto di andarsene quando Will, incapace di trattenersi, lo fermò.

    «Perdonate il mio ardire, signore, ma… se Elizabeth ha insistito tanto per invitarmi, che reazione avrà se non sarò presente?»

    Il Governatore si rabbuiò. Ergendosi in tutta la sua statura, scoccò all’apprendista del fabbro uno sguardo penetrante e altero. Sembrava che volesse valutarlo, come una merce o un cavallo. Will sentì la faccia andargli a fuoco, mentre una goccia di sudore gli colava lungo la tempia. Desiderò di essersi dato una lavata almeno al viso e al collo, per togliere un po’ della fuliggine che gli imbrattava la pelle. Abbassò di nuovo la testa, ma la vista delle scarpe vecchie e malandate, troppo grandi per lui, e dei calzoni rammendati in più punti, non gli fu di aiuto. Il suo abbigliamento era l’esatto opposto di quello del Governatore, tanto appariscente e ricercato; ed Elizabeth, così fine e aristocratica, più bella del chiarore dell’aurora, apparteneva allo stesso mondo del padre. Al confronto, Will era un individuo ordinario, insignificante… inferiore. Un’amicizia con lui rappresentava per Elizabeth un motivo di vergogna, specie nelle occasioni formali.

    «Giovanotto» esordì il Governatore, gli occhi che parevano mandare lampi, «abbiamo già affrontato settimane fa un simile discorso. Mia figlia ti è affezionata, non ne dubito, ma è giusto che si preoccupi del suo futuro. Non è più una bambina e un giorno dovrà trovare marito. La sua condotta dev’essere sempre impeccabile. Sfortunatamente, quand’è insieme a te ha la tendenza a comportarsi con un’immaturità del tutto fuori luogo. Non dovresti incoraggiarla, bensì permetterle di rendersi conto dei suoi errori, in modo che non li ripeta più. Non credi di dovere qualcosa alla famiglia Swann, dopo quello che io e lei abbiamo fatto per te?»

    Will deglutì. «Chiedo scusa, signore. Non intendevo mancare di rispetto. Eliza… voglio dire, miss Swann, vostra figlia… merita solo il meglio. E anche voi. Vi sarò sempre debitore per avermi accolto in casa vostra.»

    «Allora posso stare tranquillo che non sarà mai più necessaria una conversazione di questo genere fra me e te?» incalzò il Governatore.

    «Sì, ve lo garantisco.»

    Stavolta l’uomo non ebbe nulla da ridire, e Will si morse la lingua per evitare che gli sfuggisse qualche altra uscita compromettente. Di lì a poco, sia il Governatore che gli ufficiali di Marina si avviarono alla porta, raccomandando al signor Brown di terminare la fabbricazione delle spade entro i tempi concordati. Will li salutò con educazione, consapevole di dover essere cortese fino alla fine, ma si sentiva amareggiato e frustrato. Gli occorse tutta la sua determinazione per riprendere il lavoro.

    Edited by Elizabeth Swann - 29/3/2024, 12:47
     
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    Will si è sempre dimostrato come un ragazzo cosciente della distanza sul piano sociale fra lui ed Elizabeth, ma certo deve essere difficile accettarla veramente (specie perché il loro amore non era a senso unico, ma entrambi lo provavano). Inoltre hai raffigurato molto bene il governatore, capace di nascondere le sue reali intenzioni e di fare certi ragionamenti. Veramente uno splendido capitolo
     
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    Grazie ^_^ Sono contenta che tu abbia apprezzato il capitolo e la caratterizzazione di Will!
    Il Governatore non volevo farlo risultare "cattivo", quindi ho cercato di rappresentare semplicemente un carattere fermo... Se può sembrare un po' intransigente (e a tratti ingiusto con Will), è perché per lui le apparenze e le classi sociali contano, com'è normale che sia in un'ambientazione settecentesca. Inoltre, il Governatore è preoccupato per il futuro di Elizabeth: desidera vederla felice, certo, ma anche "ben sistemata", se così si può dire...
     
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    Ciao Elizabeth Swann. Ho iniziato a leggere questa fanfiction, perché mi incuriosiva molto poter immaginare di più il loro rapporto di amici tra l'infanzia e l'adolescenza.
    Questo primo capitolo, mi è piaciuto molto, perché l'ho trovato fin dalle prime righe molto coinvolgente. Elizabeth riesci a descriverla perfettamente, sopratutto sei bravissima a far risaltare i tratti caratteristici della sua personalità.
    A doro molto il suo abito azzurro. 3_3 3_3 3_3
    Will lo trovo invece abbastanza timido, ma è troppo carino, buono e gentile.
    Proseguo in settimana con la lettura. :D
     
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    Grazie mille per aver dato una possibilità a questa fanfiction (che, detto fra noi, finora non ha fatto molta fortuna X) )!
    Elizabeth l'ho immaginata simile a come la conosciamo, solo un po' più spensierata e "innocente", se capisci cosa intendo ^_^ Per il vestito mi sono ispirata a quello che indossa all'inizio del primo film, da ragazzina, solo che lo immagino più elaborato, con la gonna molto ampia e ricami bianchi sul davanti.
    Quanto a Will, diciamo che sta attraversando un momento un po' difficile... ma capirai meglio più avanti... ;)
    Grazie ancora per il commento, significa molto per me <3
     
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    Elizabeth Swann Ho letto il secondo capitolo. :) Devo dire che mi è piaciuta molto la scena in cui, se pur adolescenti, giocano a fare i pirati. Molto divertente e coinvolgente. :D Ma la mia parte preferita è stata quando Elizabeth si è conficcata nella pelle la scheggia, comincia a fissare Will intensamente e cerca di metterli quel ricciolo di capelli fuori posti dietro l'orecchio. Ho percepito molto le loro emozioni e sensazioni che hanno l'uno per l'altra. 3_3
     
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    Capitolo secondo
    Solo una festa

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    Nel tardo pomeriggio il signor Brown assegnò a Will il compito di riordinare e chiudere il negozio, intanto che lui si avviava verso casa. Will, dal canto suo, era troppo abbattuto: non aveva voglia di concludere le attività giornaliere, che in quel momento costituivano la sua unica fonte di distrazione. Così disse al fabbro che avrebbe fatto tutto il necessario e, non appena rimase solo, iniziò la forgiatura di una nuova spada, destinata a uno degli ufficiali venuti in visita quella mattina. Trascorse il tempo a riscaldare e a martellare l’acciaio, allontanando di continuo i pensieri poco confortanti che gli attraversavano la mente.

    “La festa sarà cominciata… Elizabeth avrà ricevuto gli ospiti… Elizabeth si sarà seduta al tavolo della cena… Le danze saranno state aperte… Ormai avrà capito che stasera non ci vedremo…”

    Con il cuore straziato dal rimorso, Will serrò i denti e provò a convincersi di non aver mai desiderato partecipare al ricevimento. In realtà, se il Governatore non si fosse intromesso, lui ci sarebbe andato eccome, anche a costo di essere guardato dall’alto in basso da una fila di aristocratici col naso all’aria.

    “No” smentì fra sé. “Non è vero, non m’interessava affatto la festa! E nemmeno m’interessa adesso! Ho altro a cui badare.”

    Osservò la lama rozza posata sull’incudine. Se voleva arrivare a buon punto con la lavorazione, doveva trattenersi nella fucina fino a notte fonda. Capì che non gli importava: soltanto un’attività impegnativa lo avrebbe aiutato a distogliere la mente da Elizabeth. Sopportò quindi i brontolii del suo stomaco affamato, deciso a non fermarsi.

    “È solo una festa” si diceva quando la richiesta di Elizabeth gli risuonava con insistenza nel cervello. “Non succede niente se non ci vado. Niente di niente.”

    Eppure, nel suo intimo, sapeva che non era così. Lei aveva lasciato intendere che contava sulla sua presenza: mancare al ricevimento, per di più senza nemmeno avvisare che non ci sarebbe andato, dava l’idea di un certo disinteresse da parte sua. Una crudele ironia, considerando che lui era disposto a tutto per Elizabeth.

    “Già, peccato che, qualsiasi cosa farò, non sarà mai abbastanza” rifletté con amarezza. Serrò la presa sul manico del martello e colpì l’acciaio semilavorato con un sonoro clang. “Potrei essere il migliore artigiano della città e per suo padre non conterebbe nulla, perché non sarei lo stesso una compagnia adatta al suo rango…”

    Si asciugò la fronte sudata con l’avambraccio, prima di procedere con la molatura, una fase che esigeva una grande meticolosità. Non appena l’ebbe terminata, si lasciò cadere su uno sgabello. Aveva le orecchie rintronate e un crescente mal di schiena. Rimase seduto per concedersi almeno un quarto d’ora di pausa.

    Non gli restava che temprare la lama. Dopo essersi rialzato, la riscaldò nella forgia e la immerse nel secchio più vicino, pieno di una miscela d’acqua e olio. Appoggiato al muro, aspettò il tempo necessario per tirarla fuori e ripetere il processo. Mentre la stanchezza s'impadroniva di ogni centimetro del suo corpo, i suoi movimenti divennero meccanici.

    Quando la lama fu estratta dal secchio per l’ultima volta, Will aveva la testa pesante, gli occhi che bruciavano come se fossero pieni di sale e i muscoli in fiamme. L’odore acre del fumo gli pizzicava il naso e la gola, che era così secca da fargli male.

    Si pulì le mani sporche e doloranti su uno strofinaccio umido. Dalla finestrella d’angolo poteva scorgere la luna, che splendeva alta nel cielo. Tanto valeva dormire alla fucina, ormai. Si tolse il grembiule di cuoio, spense il fuoco e, con le gambe barcollanti per lo sfinimento, si avvicinò all’asino che sonnecchiava accucciato sul fieno. Si accoccolò contro il suo morbido fianco peloso e cadde nel sonno all’istante.

    Si svegliò all’approssimarsi dell’alba, confuso e intontito, il collo rigido quanto un pezzo di legno. Al suo fianco l’asino agitava le zampe anteriori, ragliava e sbuffava. Will lo calmò con una serie di carezze sul dorso, gli grattò le orecchie e si tirò su, stiracchiando gli arti indolenziti.

    A quell’ora Elizabeth dormiva. Chissà se si era coricata felice dopo la festa, quali e quante prelibatezze aveva mangiato, con chi aveva ballato…

    Will emise un lungo, penoso sospiro. Sarebbe mai riuscito a liberarsi di quel chiodo fisso che lei era diventata? Ne dubitava. D’altronde, non poteva farci niente. I pensieri andavano a briglia sciolta, senza controllo, ma la sua vita, intanto, procedeva come al solito: semplice, abitudinaria e apparentemente tranquilla. Lamentarsi non aveva senso, né sarebbe servito a qualcosa sognare a occhi aperti. Imparare a guardare in faccia la dura realtà, ecco qual era la soluzione per mettersi l’anima in pace.

    A passi lenti, Will andò al pozzo sul retro per bere e lavarsi il viso. Se i suoi muscoli soffrivano dopo la nottata, specie quelli della schiena e delle braccia, almeno l’acqua poteva dissolvere le tracce del sonno e lenire il bruciore alla gola. Tornò dentro sentendosi più rinfrancato.

    Aveva circa mezz’ora di libertà prima che arrivasse il signor Brown, che di sicuro gli avrebbe fatto la ramanzina per non essere rincasato, ma forse alla fine sarebbe stato contento di vedere la lama nuova. Un salto dal panettiere era fattibile in quel lasso di tempo… Giusto per mettere qualcosa sotto i denti e non rimanere a bocca asciutta fino a mezzogiorno. Will si augurò di avere a disposizione qualche spicciolo da spendere.

    Per sua fortuna, gli erano rimaste due monete in una tasca del panciotto: lo indossò sopra la camicia, si aggiustò la cintura e uscì. Sciolse i capelli per legarli con un nodo più stretto, così da poter domare i ciuffi arruffati che gli cadevano ai lati della fronte e avere un aspetto più presentabile. Un quarto d’ora dopo era giunto a destinazione.

    Il fragrante profumo del pane che cuoceva nel forno era una deliziosa tortura per la sua pancia vuota. L’ambiente era riscaldato come quello della fucina, ma non si trattava di un calore opprimente, bensì ospitale. L’odore delle legna consumate era coperto da quello del cibo, ormai assorbito dalle spesse pareti di pietra e mattoni, invitante per qualsiasi naso. Passare da quelle parti era un toccasana capace d’indurre il buonumore nella più nera delle giornate… purché si possedesse denaro a sufficienza da comprare almeno un pizzico del ben di Dio preparato dalle mani sapienti del panettiere, o da quelle giovani e volenterose della sua figlia quattordicenne, Lucy.

    «Buongiorno.» Will si rivolse alla ragazza in questione, in piedi dietro il bancone di legno chiaro. Lei ricambiò il saluto e arrossì. Era una graziosa brunetta che aiutava regolarmente il padre da un paio d’anni, sia a impastare il pane che a servire i clienti, e aveva un notevole talento per cucinare dolci.

    «Le pagnotte nuove sono quasi pronte, mio padre le sfornerà a momenti» annunciò, un leggero sorriso che abbelliva il suo volto sottile. Aveva folti riccioli che le arrivavano poco sotto le spalle, grandi occhi scuri e lunghe ciglia nere, tanto che alcuni coetanei si erano già invaghiti di lei da parecchi mesi. Will li aveva sentiti tessere le sue lodi mentre girellava per il mercato in compagnia di John, il primogenito dei Brown.

    «Grazie, mi basta un pezzetto di pane nero» le disse.

    «C'è anche un panino dolce di ieri.» Lucy abbassò gli occhi e si lisciò il grembiule di stoffa grezza. «Posso aggiungerlo, se vuoi.»

    Will sentì il suo stomaco ringhiare, famelico. «L’hai fatto tu, immagino.»

    «Esatto» rispose lei, evitando di guardarlo. Era una ragazza piuttosto modesta e riservata, che s’imbarazzava con facilità durante una conversazione.

    «Ti ringrazio molto, ma sarà per un’altra volta.» Will estrasse le misere monete che aveva con sé, poi tentò di mettere Lucy a suo agio con una battuta: «Non preoccuparti, scommetto che presto verrà gente ben più affamata di me.»

    Lei fece una risatina. Si coprì la bocca con la mano, le guance sempre più scarlatte.

    Will, che conosceva la sua timidezza, non diede importanza a quella reazione: appena gli fu consegnata la porzione di pane nero, si congedò. Mentre abbandonava la panetteria, non si accorse di avere gli occhi di Lucy incollati addosso, anziché rivolti verso il nuovo cliente appena entrato.

    Tornato in bottega dopo aver mangiato per strada, Will si dedicò all’accensione del fuoco. Iniziò a preoccuparsi quando il signor Brown non venne: cosa poteva averlo trattenuto a casa? Sperò che le condizioni della signora Brown non fossero peggiorate, anche se si rendeva conto che quella era la causa più plausibile per il ritardo. Soltanto l’ansia per la salute della moglie poteva portare il suo maestro a trascurare il proprio lavoro…

    Il pensiero di Elizabeth riemerse dal nulla, a tradimento, con la prepotenza di una fiammata improvvisa. Lei aveva sentito o no la sua mancanza la sera prima? L'idea che un ragazzo della sua condizione sociale fosse fuori posto in quel salone lussuoso l’aveva mai sfiorata? Si era innervosita o intristita non vedendolo arrivare, oppure il ricevimento era stato così divertente da permetterle di dimenticarsi di lui al primo ballo?

    Will scrollò la testa con energia. Maledizione, non aveva passato una notte pressoché insonne per ridursi di nuovo a rimuginare su Elizabeth e su quella stupida festa! Vagò avanti e indietro per la fucina, diviso fra la rabbia verso sé stesso e l’agitazione. Rivedeva davanti a sé il volto pallido e incavato della signora Brown, poi quello fresco e ridente della sua migliore amica, a fasi alterne. Alla fine si mise all’opera per fabbricare l’elsa da unire alla lama che aveva forgiato, nonostante le sue energie fossero quasi esaurite. Indossò il grembiule e si affrettò a ravvivare il fuoco.

    Quando il metallo riscaldato fu deposto sull’incudine, lui ignorò le continue proteste del suo corpo esausto finché gli fu possibile… ma aveva tirato troppo la corda. Una martellata non andò a segno e finì proprio sul suo dito indice.

    «AAAAH!»

    Con un urlo rauco, Will mollò per terra il martello. Digrignò i denti, indietreggiando. Spasmi acuti si propagarono in tutta la sua mano, le lacrime gli salirono agli occhi e lui si morse il labbro fino a farlo sanguinare.

    L’indice ferito pulsava con violenza. Piegato in due, col braccio destro che reggeva il polso sinistro, Will si sforzò di respirare correttamente dal naso. Una serie di lamenti gli sfuggì fra i denti serrati. Corse al pozzo alla massima velocità che gli consentivano le gambe.

    L’acqua fredda gli diede un minimo di sollievo, però muovere il dito era impossibile: con ogni probabilità si era rotto. Non c’era speranza di continuare a lavorare in quelle condizioni, né in mattinata né tanto meno nel pomeriggio.

    «Dannazione, questa non ci voleva!» imprecò Will ad alta voce. Come se gli mancassero i grattacapi…

    Non aveva scelta, gli toccava rientrare a casa. Se non altro, si disse, avrebbe potuto accertarsi se il signor Brown fosse davvero lì e per quale motivo. Inzuppò uno strofinaccio nell’acqua, lo avvolse alla bell’e meglio intorno alla mano infortunata, chiuse il negozio e s’incamminò.

    Edited by Elizabeth Swann - 29/3/2024, 13:03
     
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