SOLITUDINE

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    Anima Sola e Incompresa

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    Ciao a tutti cari lettori. :D
    Questa è una raccolta di racconti brevi che parlano di numerose vite vissute in solitudine.

    Categoria: bollino giallo
    Genere: racconti brevi, narrativa generale



    AVVERTENZE: Sono racconti inventati dall'autrice.
    Buona Lettura. <3



    INDICE DI LETTURA
    1. #entry458640804
    2. #entry458900482
    3. #entry460375379
    4. #entry460813891

    SOLITUDINE

    L'UOMO IN RIVA AL LAGO


    Durante l'estate, ero solita trascorre alcuni giorni in riva al lago. Quel lago dalle acque limpide e lucenti, che brillavano sotto il sole caldo e dorato come mille cristalli. Nascosto e protetto dalle alte montagne dai dolci pendii smeraldini e dalle vette rocciose e frastagliate dove le nuvole bianche e gonfie come batuffoli di cotone si rincorrevano nel cielo azzurro. I passeri cinguettavano qua e là, volando di pino in pino e sorvolando le acque del lago.

    Ogni mattina, l'aria era fresca e leggera, solleticava con dolcezza la mia delicata pelle rosea e io venivo sempre pervasa dal profumo mielato del sottobosco.

    Passeggiavo lungo la riva del lago, ammiravo i cigni dalle piume bianche e setose nuotare in circolo e ascoltavo con immenso piacere lo sciabordio delle onde infrangersi sulla spiaggia ghiaiosa.

    Andavo sempre a sedermi sotto quel salice piangente, esule e triste, dalle fronde verdi e tristi.

    Vicino vi era una panchina, inclinata su un lato, in legno d'ebano, rivolta verso la maestosità del lago.

    Ogni giorno vi sedeva un uomo anziano dall'aspetto minuto e un po' goffo. Indossava sempre un cappello di paglia, una camicia in cotone logora a quadretti grigi e neri e un paio di pantaloni blu larghi in tela,, stropicciati e macchiati.

    Stava sempre solo, ignorando chiacchiericci e schiamazzi vari dei bambini tedeschi che giocavano con palle e racchette, in riva al lago.

    Nessuno mai lo guardava, nessuno aveva mai provato a rivolgergli la parola. Nessuno sapeva il suo nome, nessuno sapeva la sua storia.

    Lui era un uomo che era stato distrutto dalla guerra. Aveva perso tutto. Aveva perso la sua famiglia, la moglie e i figli durante i rovinosi bombardati del 1916. Era rimasto solo al mondo. Era diventato presto un emarginato.

    Fu costretto a combattere al fronte insieme ad alcuni suoi compaesani. Nessuno di loro alla fine sopravvisse. Aveva assistito alle più brutte e dolorose atrocità provocate dalla guerra, aveva ucciso davanti a sé centinaia di soldati e fu costretto a vederne altri mille morire davanti ai suoi occhi.

    Pregava con grande ardore il cessare del rombo dei cannoni e mentre combatteva invano una guerra che non gli apparteneva, una granata difettosa esplose davanti ai suoi occhi e perdette la gamba sinistra.

    Subito dopo venne congedato e mandato a casa.

    Era felice di rientrare in patria e far presto ritorno alla sua dolce e tiepida dimora. Scoprì, in cuor suo, che la guerra lo aveva profondamente segnato. Si sentiva un uomo orribile pieno di sensi di colpa verso la sua famiglia, con la quale, in passato, si era sempre comportato malissimo. Ora tornato dalla guerra voleva rimediare, voleva cambiare e diventare un uomo migliore per i suoi figli e soprattutto per la sua cara e povera moglie, perché li erano mancati da morire e lui senza loro non era nessuno. La sua stessa esistenza non aveva alcun valore. Le sue giornate erano diventate vuote. Quando finalmente ritornò a casa, davanti gli si parò uno scenario duro, crudo e travolgente. Il paese in cui era nato e cresciuto non c'era più. Era stato spazzato via, raso al suolo dai bombardamenti in una notte d'inverno. Il suo paese era andato completamente distrutto. Sua moglie e i suoi figli erano tutti morti. Fu più dilaniante e devastante della guerra stessa.

    Aveva perso per sempre la sua dimora, la sua unica e preziosa famiglia. Aveva perso l'amore dei propri cari. Aveva perso tutto.

    Si inginocchiò per terra, davanti alle macerie della sua abitazione e pianse forte, di profondo e inguaribile dolore e urlò per aver subito questa brutta ingiustizia, con il cuore rotto come le rovine davanti ai suoi occhi, gli faceva troppo male per il troppo rancore.

    Era rimasto solo al mondo, con mille rimpianti, per non aver mai apprezzato nulla dalla vita e per non aver imparato a rispettare e ad amare veramente sua moglie e i suoi figli che maltrattava e offendeva ogni giorno.

    Purtroppo aveva ereditato quel brutto carattere dal padre, che era sempre stato con lui molto cattivo e violento. Era cresciuto così in una famiglia severa, dove il gesto di alzare le mani era l'unico modo per ottenere un po' di rispetto e dignità. A scuola, invece, lo prendevano sempre in giro, per la sua bassa statura e perché era cieco da un occhio. Si sentiva povero e maledetto. Arrabbiato con sé stesso perché non sapeva difendersi come meritava, così durante il fiore degli anni che segnarono la sua adulta gioventù, si ribellò davanti al mondo intero e divenne cattivo, più cattivo di suo padre e iniziò a vendicarsi verso tutte le persone che lo calunniavano alle spalle.

    Venne definito un "donnaiolo senza cuore" : attirava qualsiasi donna del paese, giovane o adulta, per ricavarne solo del piacere momentaneo, dopodiché una a una le sbatteva fuori casa con senza più un soldo in tasca. Era diventato una canaglia, un ladro di denaro, voleva arricchirsi senza lavorare con le doti delle figlie dei poveri contadini, finché un giorno venne costretto da suo padre a prendere moglie.

    Sposò una giovane, venuta vedova troppo presto, figlia di un povero mercante di un paese vicino che stava facendo la fame. Da lei ebbe presto due insopportabili figli maschi. Li odiava, perché non aveva desiderato mai avere alcun figlio dalla vita. Li riteneva invalidi, stupidi, incapaci e immaturi, ma soprattutto li detestava, perché erano fisicamente troppo uguali a lui. Erano un intralcio, un impiccio, solo due bocche in più da sfamare insieme a sua moglie, una donna troppo benevola e dall'animo sempre paziente.

    Quando la incontravi per caso tra le vie strette del paese, pareva sempre stanca, stremata, priva di vitalità, infelice per aver sposato un uomo che non l'avrebbe mai rispettata e amata per come si prendeva cura della famiglia. Il suo sguardo trasudava pietà e compassione. Tutti in paese sapevano che il marito la picchiava, ma nessuno fece mai niente per difenderla o proteggerla o allontanarla insieme ai suoi due figli da quel mostro di marito. Trovò finalmente pace solo quando lui fu costretto a partire per la guerra. Li dovette abbandonare tutti, per sempre, non sapendo dell'infausto destino che li attendeva.

    Fu così che la vita lo punì, portandogli via ogni più prezioso bene.

    I pochi abitanti sopravvissuti al bombardamento aereo raccontarono che lo sentirono piangere e urlare ogni notte, nascosto dentro alle vecchie macerie della sua dimora, fino a che un giorno non consumò tutte le lacrime e uscì da quei quattro muri barcollanti e cercò disperatamente un aiuto da qualcuno.

    Nessuno mai dimenticò che razza di uomo fu, quindi nessuno tentò di aiutarlo in nessun modo, perché ancora tutti ricordavano che, con sua moglie e con tutti i suoi compaesani, era stato solo un vero mostro di uomo.

    Nonostante era trasandato e senza una gamba, mai a nessuno fece tenerezza e compassione, anzi lo osservavano sempre in malo modo.

    Nessuno mai ascoltò le sue richieste imploranti d'aiuto. Tutti presero a ignorarlo. Tutti pensavano che forse tutto questo terribile dolore se lo era in fondo meritato per il suo brutto comportamento e così ben presto lo dimenticarono, anche se lui rimase sempre lì, a gironzolare per tutta la vita in quel piccolo paese.

    Dopo la guerra, gli anni furono più floridi e gioiosi, ognuno si era ricostruito una propria dimora e alcuni si erano ricreati una nuova famiglia, molto più solida e numerosa. Sembrava di vivere una nuova vita, migliore, ma non durò a lungo, perché durante un gelido inverno del dopoguerra, in paese scoppiò una violenta epidemia di polmonite. I dottori erano pochi e presto divennero assenti: molti di loro mancarono per essere stati troppo a contatto per cercare di guarire i malati. Le cure scarseggiavano di giorno in giorno, finché qualsiasi medicinale fu introvabile e le costanti bufere di neve non facilitavano nemmeno di certo l'arrivo di altri soccorsi. Morirono tutti quell'inverno, in paese, nei letti delle loro case. L'influenza non risparmiò nessuno, tranne lui che ormai aveva deciso di invecchiare in isolamento nella sua piccola casa di legno, lontano da tutto quello che stava succedendo nel mondo esterno.

    Dopo l'epidemia, il paese fu in parte disabitato per molti anni, ma pian piano ricominciò a ripopolarsi di nuova gente, per lo più di austriaci e tedeschi. Lui, fu l'unico a non andarsene dal suo paese. I nuovi abitanti non lo conoscevano e nessuno voleva conoscerlo. Lo ignorarono ancora come un fantasma in mezzo ai vivi.

    Passeggiava sempre solo per strada, a testa china, appoggiandosi al bastone, non incrociando mai lo sguardo dei passanti. I bambini, a volte, lo scrutavano incuriositi, altri invece nutrivano un insignificante timore nel vederlo sempre solo, con quel volto sciupato e rugoso, sempre zoppicante in cerca di carità.

    Nelle mattine fresche di mezza estate lo si vedeva sempre seduto su quella misera panchina, con il volto rivolto sempre verso il lago. Il suo sguardo non incrociava mai quello di nessuno: era inespressivo, malinconico e perduto come quello di un morto. Se ne stava lì seduto con il bastone appoggiato al suo fianco, assorto nei suoi più cupi e tristi pensieri, dilaniato da infiniti sensi di colpa, perché avrebbe potuto essere un uomo migliore, ma aveva deciso di non esserlo mai.

    Edited by -Laura- - 25/9/2023, 13:49
     
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    dall' isola che non c'è

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    Ciao! Ho finito ora di leggere... Che storia triste :(
    Però molto bella e originale. Poco fa ho scritto un breve testo che ha uno svolgimento abbastanza simile al tuo!
    Posso darti un mezzo consiglio? A mio personalissimo parere, in alcuni casi, al posto del passato remoto, userei un imperfetto. Io amo il passato remoto con tutta me stessa, ma a volte l'imperfetto riesce a rendere il testo più scorrevole ;)
    Prova a vedere, magari il risultato può non piacerti, ma secondo me vale la pena provare!
     
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    LA DONNA CHE PIANGEVA SULLA TOMBA



    Era il giorno in cui si ricordavano i morti. Era il giorno in cui si ricordavano i nostri cari familiari defunti e ci ricongiungevamo ad essi con riti e preghiere.

    Io passeggiavo sola fra le vie del mio piccolo paese. Indossavo un cappello nero, i mie capelli color miele scendevano lisci lungo la schiena. Portavo un cappotto rosso ciliegia e le calze grigie mi scaldavano i polpacci. I miei occhi azzurri erano rivolti verso il marciapiede lastricato. Il mio sguardo era perso e triste. L'estate si era portata via la mia felicità.

    Percorrevo, a passo lento, il lungo viale costeggiato da esili verdi cipressi che portava all'ingresso del cimitero. Il cielo era grigio, cupo e piovoso. Nelle distese immense, umide e incolte, la nebbia lattiginosa evaporava dalla terra. I corvi neri gracchiavano e volavano in circolo sopra i campi, dove regnava la desolazione.

    Io continuavo a camminare, accompagnata dal soave fruscio delle foglie secche che cadevano leggere ai miei piedi, colorando la strada di sfumature calde e variopinte.

    All'improvviso una folata di vento gelido mi travolse e sobbalzai infreddolita. Il mio viso divenne pallido e le mie labbra si screpolarono di rosso. Un turbinio di foglie arancioni offuscò la mia vista e quando si placarono, davanti a me si parò di fronte l'ingresso del macabro cimitero.

    Deglutii intimorita.

    Varcai gli imponenti cancelli scuri in ferro battuto. Sopra di me, due statue in marmo di due gargoyle mi scrutavano con occhi spaventosi e inquietanti.

    Davanti a me mi si parò un' atmosfera oscura e lapidaria. Rabbrividii davanti alle tombe solitarie. L'aria che respiravo era densa e pesante: odorava di putrefazione. Nel cimitero incombeva un silenzio di morte. L'unica vera bellezza erano i crisantemi freschi e colorati che ornavano con opulenza i vari sepolcri in pietra grigia.

    Sospirai malinconica e camminai fra i sentieri sassosi del cimitero fino a giungere vicino alle lapidi delle mie nonne defunte. Camminai fra i sentieri sassosi a mani giunte.

    Mi inginocchiai davanti alle loro bare sepolte.

    Accarezzai con il palmo della mano il mazzo di fiori sopra alla tomba.

    Recitai una preghiera nella mia mente, mentre una lacrime nostalgica e solitaria scendeva dal mio volto.

    "Vale la pena vivere una vita che poi andrà dimenticata?"

    Dietro di me, a un tratto, sentì un rumore di passi farsi sempre più vicino, così incuriosita mi voltai e scorsi di lato una nera figura.

    Era una donna anziana di bassa statura, interamente vestita dal colore della morte.

    Indossava un abito lungo, orlato di merletto. Aveva le mani coperte da guanti lucidi. Il suo capo era avvolto in un velo leggero che scendeva lungo tutto il suo corpo avvolgendolo come un mantello drappeggiato. Si trascinava con forza lungo il sentiero, dalla bocca le usciva uno straziante lamento di sofferenza. Quando arrivò in procinto di una lapide, poco vicina a me, si abbandonò a sé stessa e cadde come sconfitta in ginocchio.

    Irruppe in un pianto di profondo dolore e patimento.

    Non riuscivo proprio a capire chi fosse questa strana donna straziata dal male. Non mi pareva di averla mai vista e tanto meno di non averla mai incontrata prima d'ora. Rimasi incantata a osservarla per un bel po' di tempo, fino a che non si accorse della mi presenza. Si girò di scatto verso di me e i suo occhi cerulei incontrarono i miei.

    Ebbi un tuffo al cuore quando mi accorsi che era proprio lei: la "Vedova Nera" del villaggio. Aveva perso il marito dopo un turbolento matrimonio.

    La vidi per la prima volta davanti a una tomba scura in granito, accompagnata da una lapide quadrata con incastonata una foto sbiadita, una scritta in rilievo illeggibile e sopra di essa un vaso crepato di marmo di rosse rosse appassite.

    Piangeva il marito morto. Piangeva il suo amore.

    Lei era sempre stata una donna dolce, gentile ed educata, dall'animo buono e sensibile. Nata in una delle famiglie più agiate del paese, aveva preso il colore degli occhi dalla madre e i capelli corvini dal padre. Era la sorella maggiore di quattro fratelli. Era cresciuta prendendosi cura di loro. Li aveva insegnato lei a leggere, a scrivere e anche le buone maniere. Alla soglia del suo diciottesimo compleanno era stata espressamente invitata dal sindaco del paese a partecipare all'annuale "Ballo delle Debuttanti" insieme ai suoi coetanei. Partecipò con piacere, accompagnata dal padre e dalla madre che già pensavano di maritarla con qualche giovane aristocratico dell'alta società.

    Arrivò alla cerimonia di debutto in abito rosa pastello e con i capelli circondati da una corona di di fiori variopinti. Tutti rimasero ammaliati dalla sua incantevole e naturale bellezza. Molti giovani uomini la invitarono per una ballo e lei, gentile com'era, mai nessuna richiesta declinò.

    Alla fine della serata, però, solo un uomo era riuscito a catturare la sua attenzione. Era un giovane ragazzo diventato ricco solo per mera fortuna del padre, poco amato e rispettato, perché considerato un vero burlone e per di più un assassino, poiché si vociferava che il grande patrimonio che aveva ereditato fosse stato, in realtà, rubato e sequestrato da un nobile sconosciuto di un vicino paese. Era il figlio minore di tre fratelli maschi e nonostante provenisse da una famiglia di mascalzoni era cresciuto sereno e sincero. Era un uomo buono e fedele dal cuore aperto. Lui era l'uomo dei suoi sogni. Si innamorò di lui al suo primo invito al ballo. Fu amore a prima vista. Aveva i capelli dorati e le iridi blu come l'oceano. Lei pensò di aver incontrato il principe azzurro.

    Dopo il giorno del debutto in società non passava giorno senza che la corteggiasse con poesie, lettere, regali e mazzi di ogni specie di fiore vivente sulla terra. Era davvero un gentiluomo, un uomo che aveva occhi solo per la sua futura moglie.

    Decisero che era giunto il momento giusto di sposarsi e insieme lo annunciarono felici alle rispettive famiglie. Fu doloroso e poco sorprendente nel sapere che erano tutti contrari al loro matrimonio. Il padre di lei sapeva che avrebbe sposato solo un povero disgraziato, figlio di un finto ricco. Sua figlia meritava solo il meglio e così le proibì addirittura di incontrarlo ancora, ma lei non diede mai retta alle pretese del padre, perché una notte di freddo inverno, nel bel mezzo di una tempesta di neve, scappò insieme al suo amato e insieme si sposarono in una chiesa abbandonata in mezzo alla campagna.

    Dopo la tormenta ritornarono in paese come marito e moglie. Le loro famiglie li chiusero la porta in faccia, abbandonandoli solo a sé stessi. Lei senza la dote lasciata in dono dal padre, lui con solo qualche spicciolo in tasca, riuscì comunque ad affittare un angusto appartamento in paese.

    La loro nuova vita ebbe iniziò quando misero piede nella loro nuova dimora. Fu per molti anni prospera e gioiosa. Lui faceva il contadino, amava lavorare la terra, poiché gli dava sempre molto lavoro, ma soprattutto sempre denaro, ma non troppo da poter allevare e crescere anche dei figli. Lei comunque era molto felice dei successi di suo marito, era diventata un'ottima padrona e donna di casa. Passava le sue giornate a prendersi cura di lui: gli preparava gustosi pasti, gli lavava i vestiti sporchi e gli rifaceva sempre il letto, non gli faceva mai mancare nulla. Era una moglie perfetta. La loro vita era serena, piacevole e benestante, ma non durò per sempre come loro avevano sperato.

    Arrivò un anno di forte carestia. Il caldo estivo e la siccità avevano prosciugato quasi tutta l'acqua dai fiumi. I raccolti erano andati ormai perduti insieme ai ricavati in denaro. Lui cercò di rimediare provando a investire gli ultimi risparmi, facendo affari con uomini di alto rango, ma fallì quasi subito e in mano non gli rimase nemmeno una briciola di pane.

    Divennero poveri.

    Lui cadde in depressione.

    Pregava invano un aiuto da qualcuno, ma tutti lo ignoravano, perché era povero, sporco e privo di forze e andava sempre a chiedere carità in giro per il paese. In seguito presero tutti a calunniarlo alle spalle e a dargli del fallito. Stanco di sentire i rimproveri della gente prese a bere fino a ubriacarsi. Annegò lentamente nell'alcol. Dentro di lui crebbe un'infernale frustrazione e sconforto, mischiata a rabbia e vendetta. La sua anima era diventata oscura e cattiva. La perdita della ricchezza lo aveva trasformato in un mostro. Iniziò ad azzuffarsi con chiunque, a inscenare lotte e risse con chi solo osava sfidarlo a parole e più beveva più la sua rabbia risaliva dalle sue viscere fino a che non esplose.

    Una sera tornò a casa fradicio e inzuppato d'alcol fino all'osso e iniziò a violentare anche la sua cara e povera moglie. Andò avanti a picchiarla fino allo stremo delle forze. Lei implorava di smetterla, ma lui era sempre più pervaso dalla collera e incanalava tutta la sua rabbia verso la moglie. Lei si sentiva sempre più male per lui, non sapeva come aiutarlo e non voleva denunciarlo perché aveva troppo paura di una sua incontrollabile reazione.

    In paese avevano cominciato a guardarla male per i troppi lividi viola che mostrava spesso in volto, ma nessuno mai l'aiutò, perché nessuno voleva a che fare con uomo violento.

    Una mattina un urlo agghiacciante spaventò alcune persone vicine alla loro abitazione. Irruppero spaventate nell'appartamento di lei e quello che videro fu una vera e propria tragedia: in mezzo alla sala da pranzo, trovarono lei con il grembiule insanguinato e con in mano un coltello dalla lama affilata, davanti al cadavere del marito dalla gola tagliata, steso a terra circondato in una pozza di sangue.

    Alcuni pensarono a un omicidio, altri pensarono a un suicidio del marito. Nessuno mai lo scoprì, poiché la storia fu tanto orribile da essere presto dimenticata.

    E adesso era lì a piangerlo al cimitero, perché nonostante tutte le disgrazie che le aveva procurato, lei non aveva mai smesso di amarlo.

    La vidi toccare la tomba e baciare la foto del marito. Dal vestito estrasse una rosa rossa, simbolo di amore fedele eterno e incondizionato, l'appoggio sopra alla lapide. Infine si rialzò e se ne andò.

    Non la rividi più.

    Edited by -Laura- - 28/9/2023, 14:43
     
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    Re(gina) dei Pirati

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    da qualche parte al fianco di Will Turner ❤

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    Laura_Ruetta ho letto il primo racconto di questa raccolta.
    All'inizio sembrava una storia "tranquilla", che parte da una cosa bella e semplice come la contemplazione della natura... invece poi ha rivelato la presenza di un fortissimo elemento drammatico. Molto triste e toccante, complimenti!
     
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    IL MERCANTE DI ROSE ROSSE



    Quando ero una giovane ragazza, la mia Estate ero solita trascorrerla con la mia cara famiglia. Ogni anno, come da tradizione, andavamo tutti insieme a trovare la nonna a Venezia per qualche settimana.

    Venezia era la mia città del cuore.
    Un amore passionevole e incondizionato. Un amore assai raro e intramontabile.
    Era sempre un onore, una meraviglia agli occhi, al cuore e all'anima farle visita anche solo una volta l'anno per poter ammirare la sua incantevole e sublime bellezza artistica che prosperava e sorgeva in mezzo al mare zaffiro della laguna.

    Ogni giorno mi destavo riposata, serena e felice dai miei dolci sogni. Facevo colazione con latte caldo e una brioche e poi scendevo la ripida scala che mi portava fin giù alla porta d'ingresso. L'aprivo e come ogni mattina venivo accolta con un bacio caldo dal Sole luminoso che brillava alto nel cielo azzurro limpido, dove sorvolavano e stridevano spensierati i bianchi gabbiani. Percorrevo sorridente, ma anche con curiosità e mistero, le strette calli, guardandomi sempre intorno perché la città nascondeva molti segreti e li sapeva svelare solo a chi la venerava e la amava veramente in tutto il suo splendore.

    E come per magia mi guidava verso la grande Piazza di San Marco, sempre gremita di stranieri provenienti da tutte le parti del mondo.
    Qui pareva ogni giorno una festa, qui si respirava sempre l'aria colorata e allegra del Carnevale in mezzo a urla, schiamazzi e risate di una folla variopinta di turisti, fotografi e venditori ambulanti.

    Mi perdevo ad adorare, sbalordita, il suo cuore che pulsava di maestosa e immortale vitalità. Sembrava un Paradiso plasmato solo dall'arte. Sembrava di vivere in uno splendore di architettura e pittura.

    Il campanile imponente e maestoso era costruito in mattoni rossi, il tetto color ghiaccio, sovrastava la piazza. Il dorato Arcangelo Gabriele danzava nell'infinito cielo celeste velato di nuvole rosa.
    Il Museo Correr circondava e proteggeva la piazza sotto le sue bianche arcate, dove sotto si nascondevano persone che gustavano tè e pasticcini in compagnia di una dolce e soave melodia suonata al violino o al pianoforte. Era una pace dei sensi assoluta sentir poi la brezza tiepida del mare accarezzarti la pelle morbida del viso e arricciarti i capelli, mentre ti voltavi e osservavi la facciata della Basilica riflettere i suoi mosaici e affreschi colorati sul lastricato bagnato della piazza: illuminati dal sole fino al calar delle tenebre come un tesoro di valore inestimabile.
    Al suo fianco si ergeva sontuoso il Palazzo Ducale in stile gotico-bizantino, era riccamente decorato da elementi costruttivi e ornamentali. I suoi colonnati sovrastavano l'edificio con un poderoso corpo di marmi intarsiati in cui si aprivano grandi finestre ogivali, mentre ogni capitello era minuziosamente e finemente scolpito. Esprimeva in tutta la sua grandezza, il suo potere, la sua sovranità sull'isola di Venezia. Affianco, le alte colonne di marmo e di granito di San Marco e di San Teodoro, si erigevano prosperose verso il bacino della laguna, dove navigavano tranquille le nere e lucide gondole.

    Quella era la mia Venezia.

    In quella piazza un afoso giorno di metà estate vidi un giovane ragazzo vestito come un contadino. Aveva il volto dai lineamenti dolci e aggraziati. Aveva i capelli corti e castani dai riflessi lucidi e chiari e gli occhi azzurri e profondi. Era basso e minuto. Tra le sue mani, dalle dita affusolate, teneva stretti mazzi di rose profumate, dai petali rossi, vaporosi e vellutati. Lo scrutai attentamente all'ombra dei sottoportici, mentre ero seduta a leggere un libro davanti al Caffè Florian. Non lo avevo mai visto prima d'ora. Mi incuriosì molto, poiché mi suscitò una triste tenerezza. Poverino mi sembrava così solo. Dimenticato dal mondo.

    Nei giorni successivi lo rividi ancora gironzolare per la piazza a offrire fiori agli innamorati anche senza chiedere nulla in cambio. Cercava solo di regalare rose rosse alle coppie, ma senza alcun successo. Non tutti erano gentili con lui. Molti lo ringraziavano con un lieve sorriso, ma senza prendere un fiore, altri gli passavano accanto ignorandolo o parandolo via con le mani in modo aggressivo e arrogante. Nessuno coglieva il suo regalo. E lui cadeva sempre nello sconforto. Era disperato. Pochi spiccioli riusciva a fare, forse solo uno o due al giorno. Che brutto venire respinti.

    Ogni giorno provavo sempre molta pena per lui, tuttavia non smisi mai di osservarlo anche con fascino e curiosità perché sapevo che lui nascondeva un segreto d'amore.

    Un tardo pomeriggio si accorse del mio sguardo timido. Fu in quel momento che lessi la sua disperazione interiore. Nei suoi occhi poi intravidi il bagliore della sua anima sofferente, crepata e andata rotta in mille pezzi.

    Lui era il mercante delle rose rosse di Piazza San Marco.

    Era rimasto orfano. Era nato e cresciuto a Venezia in una famiglia povera che lo abbandonò quando era ancora troppo giovane. Si prendeva cura da solo, nessuno lo amava e anche lui non amava nessuno. Era senza amore. O meglio era rimasto senza amore. Gironzolava per la piazza con il volto chino e aveva sempre una aura persa e malinconica. Quando pioveva a dirotto si riparava sotto qualche ponte. Non si sapeva da che luogo tetro e sconosciuto dell'isola provenisse e tanto meno non si sapeva dove riusciva a procurarsi le rose rosse. Si vociferava che avesse un giardino nascosto da qualche parte, dove le coltivava con estrema riservatezza e gelosia, ma nonostante ciò, nessuno sapeva per certo dove provenissero: erano di un rosso vivo, come il sangue, vivaci e vibranti, prospere e rigogliose, gonfie di petali freschi, delicati e profumati.

    Un giorno di Primavera incontrò una giovane fanciulla dai capelli lunghi, dorati e ondulati come il mare e dagli occhi grandi e tondi color nocciola. Aveva il nasino all'insù e le labbra sottili sfumate di rosa e il suo volto era pallido, ma molto grazioso e dallo sguardo gentile e tenero. Era alta e snella. Era la figlia ricca e benestante di un aristocratico veneziano di alto rango.
    Era solita trascorrere i suoi pomeriggi nella piazza a passeggiare in compagnia della sua chaperon, e di tanto in tanto si fermava a prendere un tè in compagnia di qualche amica. Indossava spesso abiti sontuosi di color pastello con stampe floreali, orlati di pizzi e merletti inamidati. Sul capo portava un cappello di paglia arricchito da una fascia in seta, legata in un vaporo fiocco, abbinato perfettamente all'abito da giorno. Nascondeva le sue mani in guanti bianchi e lucidi, anche questi impreziositi da costosi gioielli dorati.

    Il povero medicante non sarebbe mai stato alla sua altezza e lei era di certo non lo avrebbe mai preso in considerazione.
    Lei era così bella, solare, un angelo disceso dal Paradiso.
    Aveva il profumo delle sue rose rosse.
    Non gli sarebbe mai appartenuta.

    Ma un giorno, il mendicante sempre più amareggiato e sempre più in pena nel vedere la ragazza giovane, radiosa e incantevole nei suoi abiti variopinti, provò ad attirare la sua attenzione: si avvicinò a lei e le regalò, con coraggiosa disinvoltura, una delle sue tante rose rosse. Lei gentile come gli era apparsa, l'accettò molto volentieri.
    Il mendicante arrossì felice e poi si allontanò.

    Ogni giorno la vedeva passeggiare e il suo interesse per lei aumentava sempre di più. Credeva di amarla.
    Infine si innamorò di lei.

    Quando la vide un attimo sola, si avvicinò a lei e le chiese di conoscersi meglio. Lei declinò subito, su un primo momento, ma poi, dopo alcuni giorni che il ragazzo la importunava e insisteva di volere stare del tempo con lei, acconsentì e iniziarono a frequentarsi.

    Ogni pomeriggio si aspettavano al centro di Piazza San Marco.
    Insieme iniziarono a condividere pezzi delle loro vite. Lui le raccontò il suo triste e insignificante destino. La giovane benestante ne rimase molto devastata e si rattristò: provava solo una grande pena e preoccupazione per lui.
    Anche lei raccontava come passava le sue giornate segregata in casa, a studiare, a cucire e a imparare le regole per diventare una signora aristocratica, una moglie e soprattutto una futura madre, ma quello che amava più di tutto era passare le giornate a leggere le fiabe e a scrivere poesie.
    Il povero ragazzo era analfabeta, e così un pomeriggio lei decise, di sua spontanea volontà, di portargli un paio di libri. Insieme si appartarono in un parco verde brulicante, vicino casa di lei, e con molta dedizione e pazienza gli insegnò a leggere. Soddisfatto dei suoi primi risultati, il ragazzo aveva ritrovato un po' di felicità. Inoltre la fanciulla aveva iniziato a portargli, di tanto in tanto, cesti di calde pagnotte dolci all'uvetta. Il mercante le gustava tutte, mentre passeggiavano lungo le calli, salendo e scendendo i ponti di Venezia.

    La cosa più bella ed emozionate è quando gli regalò, per il suo compleanno, un giro in gondola. Insieme navigarono fra i canali torbidi e quieti, immersi tra gli stretti palazzi storici scoloriti e scrostati dall'acqua salmastra e sporca della laguna.

    Il ragazzo divenne il più felice mercante povero del mondo.

    Dopo alcuni mesi trascorsi insieme anche lei si innamorò di lui e infine dichiararono il loro amore con un bacio.

    Sembrava di vivere dentro a un sogno. I due giovani si adoravano e si amavano ogni giorno sempre di più, fino a quando qualcuno di perfido riuscì a spezzare il loro legame per sempre.

    Il suo severo e intransigente padre la scoprì con lui, povero mendicante.

    La rinchiuse in casa con la forza e la promise subito in sposa ad uomo più adulto, grasso e brutto.
    Le si spezzò il cuore, mentre il mercante non la rivide più.
    Lei, nonostante le implorazioni e le suppliche verso il padre, fu lo stesso costretta a nozze controvoglia.
    Il povero ragazzo assistette al matrimonio da lontano, fuori dalla chiesa. Si sentiva triste e sconfitto, di nuovo solo e ancora peggio di prima, perché aveva il cuore a pezzi.

    I giorni passavano lenti e monotoni, non smise mai di spiarla da lontano. Le faceva un male terribile vedere il suo volto consumato dal dolore, appariva malato, privo di colore e di vita. Aveva perso il suo splendore interiore, la sua felicità e il suo amore.

    Una notte, la fanciulla decise di scappare dal marito, non riusciva più a sopportarlo, non riusciva più a sopportare tutto quel dolore causato dalla mancanza del mercante di rose rosse. Era rimasta senza amore e senza nessuno da amare.

    Una vita senza amore non è degna di essere vissuta.

    Uscì dalla porta di casa, chiudendosela alle spalle. Si inoltrò tra le tenebre della notte, avvolta da un gelido e umido manto di nebbia bianca. Percorse alcune calli fino a giungere ai piedi di un ponte di pietra senza parapetto. Ma non era sola, lui l'aveva seguita, non l'aveva mai abbandonata e avrebbe continuato ad amarla da lontano, per sempre.
    La vide poi salire a fatica ogni gradino fino a giungere in cima. Si avvicinò di più, ma rimanendo nascosto nel buio in un angolo di una casa disabitata.
    La fanciulla si avvicinò al bordo del ponte. Stava tremando per il freddo, indosso aveva solo una tunica leggera e bianca. Chinò il capo in avanti e prese a fissare le acque dense del canale.
    Il ragazzo la vide chiudere gli occhi e fare un altro passo in avanti, quando realizzò le sue tragiche intenzioni. Non voleva perderla, così corse veloce sopra il ponte e per un fugace momento riuscì ad afferrarle un lembo della sottoveste, ma non troppo da salvarla dalla morte.
    Cadde in acqua e annegò nelle tenebre della laguna.
    Scomparì davanti ai suoi occhi.
    Non la rivide mai più.
    Si inginocchiò e irruppe in un pianto disperato di quelli che fanno male il cuore e lacerano l'anima.

    I giorni successivi furono terribili. Aveva visto morire davanti ai suoi occhi il suo vero amore. Era pervaso e accecato dai sensi di colpa e da un solo e unico rimpianto di non essere riuscito a salvarla dall'Inferno.

    Ogni giorno, in Piazza San Marco, lui cercava di vendere le sue rose rosse con il desiderio che qualche gentiluomo le comprasse per donarle e dichiarare i suoi sentimenti alla sua fanciulla, perché almeno loro avevano ancora qualcuno da amare.

    Edited by -Laura- - 28/9/2023, 14:44
     
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    Ciao Laura! Eccomi a iniziare la tua raccolta, già il nome mi aveva incuriosito, quindi eccomi qui!

    Il Primo Episodio l'ho trovato molto interessante. Dal titolo non pensavo di ritrovarmi nei primi del 900 e devo dire che mi affascina tanto come contesto, sempre stata affascinata dalle due guerre mondiali anche se molto... crude - e nonostante io sia più affine alla storia antica che contemporanea.
    Ho provato molta pena per l'uomo solitario distrutto dalla guerra... anche se penso che ci sia una piccola imprecisione storica che non ho potuto fare a meno di constatare visto che sto preparando l'esame di storia contemporanea. Si tratta della Prima Guerra Mondiale e per quanto riguarda il reclutamento obbligatorio è accurato, la cosa che mi lascia poco convinta sono i bombardamenti sulle città: l'aviazione nella Prima Guerra Mondiale era usata principalmente per la ricognizione, i bombardamenti erano rari e di solito si colpivano città importanti o zone strategicamente importanti (Tipo la Renania la Provincia della Germania era stata bombardata perché la zona più importante per i giacimenti minerari, non a caso poi la Germania è distrutta economicamente parlando, sia per i pagamenti esorbitanti del Trattato di Versailles, ma anche per i danni della Renania (poi ci si mette l'occupazione francese sempre in quella zona lì e pure la Grande Depressione). Da quel che ho capito, della tua storia, mi sembra che il protagonista viva in un paese un po' piccolo e non troppo strategico per subire bombardamenti... forse una cosa del genere potrebbe essere avvenuta in Russia a seguito della Rivoluzione del 1917 e della guerra civile del 1918, è probabile che le città fossero bombardate con i carri armati.
    Però non credo sia un problema eccessivo, è solo un mio problema che ho constatato perché sto preparando l'esame di storia contemporanea :XD: e che si sottolinea che la guerra aerea è più diffusa dalle principali: Guerra in Libia (1935\1936), Guerra Civile Spagnola (1936) e Seconda Guerra Mondiale.

    Fatta eccezione per questa piccola postilla, hai rappresentato benissimo l'esito del Karma: quando le azioni che compiamo si ripercuotono su di noi quando meno ce lo aspettiamo. Mi è piaciuto davvero tanto, soprattutto il dramma dato dal fatto che lui era pronto a cambiare dopo lo schifo della guerra. Mi è dispiaciuto leggere dell'epidemia, ho presupposto che la storia fosse ambientata in Germania e quindi conoscendo le conseguenze del dopoguerra delle Germania... beh non è stato piacevole e quindi molto attendibile, io ho ipotizzato che potesse essere avvenuta nel 1930, giusto per aumentare il mai una gioia di sto paese distrutto anche dalla Grande Depressione.

    Ammetto che speravo, un pochino, di vedere un bambino relazionarsi con il vecchietto e magari dargli un poco di conforto almeno nei suoi ultima anni di vita :( Però bella, mi sembrava di leggere una storiella raccontata a dei bambini del tempo per deliziare le serate e per comunicare un bel messaggio di: comportatevi bene!

    Per quanto riguarda il Secondo Episodio devo dire che mi è piaciuto ancora più del primo! Mi piace com'è scritto, ha quel tocco di gotico che adoro parecchio! Poi si riesce a sentire il profumo dell'autunno, l'atmosfera del 31 Ottobre. La storia della Vedova Nera mi ha davvero preso tantissimo, mi hanno fatto una pena assurda quei due :( però, per come sono fatta, mi è piaciuta tanto! Mi piace l'alone di mistero che si avvolge sulla fine della loro storia: è stata lei o è stato lui stesso?
    Non mi importa saperlo, mi va benissimo così perché rende il tutto ancora più gotico e interessante.
    Mi piace anche come hai descritto l'inizio, il ricordo delle nonne e la battuta che pensa la protagonista :wub: insomma mi è piaciuta davvero tanto. Anche questa sa di racconto narrato ai bambini prima di andare a letto, il dopo cena per lasciare messaggi interessanti!
    Brava!!!
     
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    Laura_Ruetta ammetto che il secondo racconto mi ha un po' disturbata, hai affrontato tematiche molto difficili tutte insieme! Non mi aspettavo che il "matrimonio turbolento" significasse violenze subite dalla moglie, soprattutto dopo che il rapporto iniziale è stato descritto con toni romantici...
    L'uomo che scivola nella dipendenza dall'alcol mi ha ricordato il protagonista del racconto "Il gatto nero" di Edgar Allan Poe (che dall'essere gentile e sensibile nei confronti degli animali diventa violento e sempre più dissociato dalla realtà). È triste pensare agli effetti che un'elevata e continua assunzione di alcol può portare :(
    Ora sono curiosa di sapere cosa hai inventato per il terzo racconto, spero di riuscire a leggerlo nei prossimi giorni!
     
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    LA RAGAZZA CHE DIPINGEVA NEL SUO GIARDINO



    Quella mattina uscì dalla mia dimora. Mi riversai nella stradina del mio paesino e mi incamminai lungo la via, felice e spensierata.

    Una tiepida folata di vento mi soffiò in viso, accarezzando dolcemente la mie guance rosa e muovendo i miei lunghi capelli biondi serici.

    Mi stavo dirigendo verso la piazza del villaggio. Appresso avevo un cesto vuoto, desideravo riempirlo con gustosissime e succose fragole rosse.

    Scendevo adagio il sentiero, osservando il mondo intorno a me.

    Tutto brulicava di un torpore di pace e quiete. La neve candida e ghiacciata si era ormai sciolta dai tetti delle abitazioni, dai marciapiedi dismessi e dai giardini. I prati avevano ripreso il loro colore verde inteso ed erano cosparsi di sfumature azzurrine, trapuntati di anemoni gialli, fiordalisi rosa e da candide e giganti margherite. Gli alberi scheletrici vibravano e si riscaldavano sotto il primo sole, mettendo in mostra le prime gracili foglie, mentre i pini smeraldini, dalle folte fronde, riprendevano a cantare all'unisono. Nell'aria aleggiava un profumo di muschio, velato da un aroma balsamico di camomilla. In lontananza si stagliavano imponenti le vette rocciose e frastagliate delle più alte montagne, toccavano il cielo azzurro limpido dove i passeri e le rondini cinguettavano allegri.

    Proseguivo tranquilla ammaliata da tanta naturale bellezza.

    Passai sotto un ramo di un albero di pesco e notai con gioia il primo fiore sbocciare nello splendore di una nuova vita. Era arrivata la Primavera.

    Dopo un triste e freddo gelo, iniziai a sentirmi bene. Avevo cacciato via tutta la malinconia e non mi sentivo più sola, abbandonata, rinchiusa nella mia casa. Mi sentivo libera, viva e piena di speranza. Ritornò così la felicità e la voglia di sorridere e di ammirare la natura risorta dall'inverno.

    Passeggiavo spensierata e guardavo le casette variopinte e dai tetti rosso mattone. Ora i balconi celestini erano quasi tutti aperti per far entrare la luce della nuova stagione, mentre sui davanzali c'erano vasi di ciclamini screziati di rosso e di viola.

    Passai vicino alla casetta più graziosa del paese. Le sue mura erano affrescate di un tenue lilla ed erano circondate dal più incantevole giardino. Il più bello di tutti. Era uno splendore di piante, fiori e colori. Era ben potato. Circondava la esule abitazione a due piani. Al di là del cancello in legno dipinto di verde, uno stretto sentiero sassoso, costeggiato da aiuole di peonie rosa soffici e vaporose portava fino alla porta d'ingresso. Tutto intorno al recinto cresceva alta una siepe di rose rosse, gialle e di radiosi girasoli. L'erba verde menta era un tappeto morbido, folto e basso, dal quale spuntavano una miriade di fiori variopinti. Qua è là c'erano cespugli di narcisi e di ortensie viola dalle venature bluastre. Da una parte della casa c'era un pozzo in pietra grigia, in disuso, soffocato e avvolto da una smeraldina edera rampicante e sopra di esso c'era un cesto di legno ricoperto da un grande mazzo di iris, mentre dall'altro lato c'era una fontana in marmo bianco, costruita su tre basamenti circolari, intarsiati e decorati in stile barocco, con in cima due putti angelici alati; dalle loro mani giunte e chiuse a coppa zampillava l'acqua limpida e cristallina che ricadeva a cascata, bagnando e riempiendo le due vasche sottostanti, dove nuotavano giulivi molti pesciolini rossi. A fianco ad essa, c'era una panchina verniciata di giallo. Sotto due aceri, vestiti di foglie fresche di un verde chiaro, c'era un'amaca dondolante. Le farfalle multicolore volavano leggiadre tra un fiore e un altro. In sottofondo si percepiva un quiete ronzio di insetti che rendeva l'atmosfera piacevole, accompagnata dal polline che danzava nell'aria e dagli usignoli che cantavano allegri in quel giardino curato con tanto amore.

    In quella casa viveva una giovane donna, sola soletta. Aveva il viso pallido, dolce e graziato, cosparso di mille lentiggini, gli occhi azzurri come il mare, i capelli lunghi ramati e labbra sottili vellutate di un rosa caldo.

    La vedevo ogni giorno d'estate, là fuori, nel suo angolo di guardino libero. Indosso portava sempre un vaporoso vestito color azzurro pastello, con una gonna lunga e ampia, un corpetto chiuso da una serie di bottoncini blu e le mezze manche a palloncino. Sopra si aggrovigliava, dietro alla vita, un grembiule sbiadito e logoro.

    Si sedeva sopra uno sgabello sbilenco, prendeva in mano un pennello lo tingeva nella tavolozza e poi iniziava a dipingere una delle sue tante tele bianche, poste sopra un cavalletto da pittura. Lei era una pittrice. Passava le sue giornate assorta nella sua arte.

    Lei era la ragazza che dipingeva nel suo meraviglioso giardino.

    Amava ritrarre paesaggi naturali di montagna.

    In questi dipinti c'era sempre una bambina, molto simile a lei. La ritraeva in varie posizioni e in luoghi diversi: a volte di lato persa nei suoi pensieri, a volte di spalle che ammirava lo scenario davanti a sé, accovacciata accanto a un ruscello, seduta su una panchina, nascosta dietro a un albero o distesa a braccia aperte in cima a una collina.

    Lei era sua sorella. L'aveva persa non molti anni fa insieme alla sua intera famiglia.

    Erano stati una famiglia solare e unita. Il padre e la madre si erano sposati e dopo un anno erano nate due paffutelle bambine che crebbero molto in fretta. Erano simpatiche, graziose, gentili, amichevoli, altruiste e generose. Il padre era un pastore di capre, molto stimato, conosciuto e accomodante, poiché faceva affari con tutti e nella sua sincera umiltà provvedeva a mantenere sua moglie e le sue due figlie. La madre era un'amichevole ordinata casalinga, gentile e buona, invitava spesso le sue coetanee per gustare del tè, mentre leggevano un buon libro o spettegolavano. Le sue due bambine, molto educate, giocavano con gli altri amici del villaggio e andavano a scuola sempre con il sorriso in viso. Avevano, inoltre, un vivace Border Collie che aiutava il padre nel suo lavoro e un canarino giallo rinchiuso in una gabbia, cantava il buongiorno ogni mattina agli abitanti del paese. Era veramente una famiglia stimata da molti perché aperta di mente e cuore.

    Un giorno la loro pace e prosperità venne spezzata per sempre.

    Una mattina di mezza estate, i genitori partirono per una breve escursione in alta montagna. All'improvviso vennero colti da una violenta tempesta. Si inoltrarono nel fitto bosco in cerca di riparo. Corsero veloci e si perdettero, finché la moglie inciampò e cadde, ruzzolando giù in un dirupo. Riuscì a salvarsi aggrappandosi ad un arbusto scorticato. Urlò forte per farsi udire dal marito che accorse spaventato e con il cuore in gola, pronto a salvarla. Si precipitò verso di lei, ma scivolò nel fango, riuscì ad afferrarla ma caddero entrambi. Morino in fondo a un profondo burrone.

    I loro corpi vennero ritrovati, nel vederli fu atroce e raccapricciante. I soccorritori li riportarono al villaggio su un carro di legno coperti da un telo scuro.

    Le due giovani, assai preoccupate, erano lì, ancora ad aspettarli fuori dalla porta. Videro avanzare il calesse davanti alla loro dimora e realizzarono subito che là sotto c'erano il loro padre e la loro madre.

    Si sentì un urlo agghiacciante, uno di quelli che ti spezza l'anima e ti frantuma il cuore. Un pianto doloroso, di sussulti e singhiozzi fa sgorgare copiose lacrime acide bagnando gli occhi disperati, velati di rosso.

    Straziate dall' inaspettata perdita, le fanciulle si chiusero in casa e per un bel po' di tempo, nessuno le rivide.

    Gli anni passarono e divennero delle giovani adulte.

    Lei si fece più coraggio e si prese cura della gemella, non abbandonandola nemmeno un secondo.

    Pian piano si riprese e iniziò a vivere. Con il passare delle stagioni le ritornò di nuovo il suo confortevole sorriso, uscì dalla sua dimora e cercò un lavoro per mantenersi.

    Sua sorella, invece, era annegata nello sconforto e nella sofferenza. Dalla morte dei genitori cambiò aspetto. Divenne debole, pallida, dallo sguardo truce e malaticcio, stava rilegata nelle sue stanze a fissare il vuoto. In lei crebbe quella rabbia, scaturita solo dal dolore e dal suo cuore spezzato che la fece presto diventare fredda, acida e maleducata. Era cattiva, scorbutica, dall'aspetto sciatto e raggrinzito come quello di una vecchia strega. La sua anima si ammalò. Perse la sua luminosa aurea. Si rifugiò nel buio delle tenebre per trovare conforto. Le mancava l'amore del suo caro padre e della sua affettuosa madre. A distanza di anni, non riuscì mai a superare la perdita, la trovava così ingiusta.

    Per vendicare la sua collera iniziò a combinare ogni sorta di guaio, uno dopo l'altro. La sua gemella guadagnava poco, quindi iniziò a rubare averi e cibo dai negozi e dalle bancarelle del mercato per sfamarsi.

    La maggior parte del tempo lo passava a far niente, ad annoiarsi nella sua depressione, niente le dava più soddisfazione, in lei albergava solo patimento e disperazione.

    Prese a trattare male anche la povera sorella che ormai non sapeva più che fare, l'amore suo non le bastava più, né tanto meno la sua pacata gentilezza. Era affranta e sconfitta quasi quanto lei. Spesso provava a risollevarle il morale, ma quello che riceveva in cambio erano solo botte e schiaffi, così doveva per forza lasciarla in pace. Ma non accettava lasciarla sola a piangersi addosso, così durante le notti insonni, riusciva ad intrufolarsi nella sua camera e a calmare le sue isteriche lacrime; le accarezzava il volto, mentre le sussurrava parole confortanti, la coccolava fino ad addormentarla fra le sue braccia.

    Una mattina litigarono duramente, dopo che sua sorella era stata sorpresa a rubare le bottiglie di latte dei vicini. Furiosa scappò di casa.

    Scoppiò una tempesta di neve e la povera fanciulla pensò il peggio per la sorella, avrebbe fatto la fine dei suoi genitori, invece ritornò infreddolita, tremante, dopodiché mal nutria com'era si ammalò gravemente. Restò a letto per un lungo periodo, mentre veniva accudita dalla sorella che la coccolava e le preparava le migliori zuppe di verdure.

    Si riprese, ma rimase debole. Sempre più stanca della vita, decise che era giunto il momento di farla finita una volta per tutte. Non aveva più ragioni valide per vivere, per sua sorella era diventata solo un peso.

    Le lasciò una lettera sotto l'albero, la Vigilia di Natale.

    Non disse niente alla sua gemella. Prima del suo ritorno, si chiuse nella sua stanza, prese un affilato coltello e si tagliò le vene.

    Sua sorella la trovò ormai morta. Il suo copro abbandonato a terra e le sue braccia gocciolanti di sangue crearono una pozza scura intorno a lei, impregnando tutto il grigio tappeto.

    La pianse, tremendamente, con il rimorso e con il ripianto di non essere riuscita a salvarla dal suo male.

    Giorni dopo assistette da sola al funerale, nessuno voleva più avere a che fare con lei.

    Giunta nella sua dimora, abbandonata a sé stessa, decise di ripulire e arieggiare la camera della sorella. Fu un duro e tosto lavoro, ma dopo un'intesa pulizia, riuscì a levare tutta la polvere e buttò via il tappeto macchiato.

    Si riposò su una comoda poltrona nel salotto. Guardò l'albero natalizio: doveva disfarlo.

    Si chinò per rialzarsi e il suo sguardo cadde su una busta bianca rilegata con un nastro di seta rosso. Su un lato c'era scritto: "Alla mia amata sorella"

    Scioccata strappò la busta e prese il foglio al suo interno. Scoprì che era una lettera. Una lettera di sua sorella lasciata prima di suicidarsi. La lesse tutta d'un fiato con il cuore trepidante e gli occhi inzuppati di lacrime, poi si abbandonò di nuovo sulla poltrona. Nella sua mente aleggiavano le risentite parole di lei.

    "... ti supplico voglimi sempre bene, anche se ti ho distrutto il cuore e per favore non dimenticare il mio volto, continua a dipingere e a ritirarmi nelle tue opere d'arte, cosicché io potrò essere sempre vicino a te..."

    Ed è così che la ragazza che dipingeva ricordava sua sorella nei suoi dipinti. Quando le mancava la dipingeva nelle sue tele. Non l'avrebbe mai dimentica. Lei era stata la sua anima gemella. Il suo cuore e il suo amore sarà sempre rivolto a lei, a quella sorella che ora giace in una tomba, sotto una lapide ornata di vivaci girasoli, che le ricordano il suo sorriso, di quando era solo una dolce e innocente bambina.

    Edited by -Laura- - 28/9/2023, 14:37
     
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    Ciao -Laura- per ricambiare i tuoi commenti alla mia fanfiction su Pirati, ho deciso di immergermi nella lettura di qualche tuo componimento e, seguendo il tuo suggerimento nella tagboard, ho voluto cominciare proprio dalle storie di questa raccolta ^_^

    Le ho lette tutte e quattro, perciò ti darò un giudizio complessivo.

    Della tua scrittura apprezzo molto la capacità descrittiva, che permette a chi legge, grazie ai ricchi dettagli con cui tracci paesaggi e personaggi, di entrare nel racconto e vedere perfettamente le scene da te immaginate.

    Queste quattro tragiche storie di solitudine sono accomunate dalla stessa struttura narrativa, ovvero si aprono con la descrizione di un ambiente naturale per lo più sereno e pacifico (tutte tranne la terza, per la precisione), per poi passare gradualmente a raccontare la storia di una persona che pur vivendo in questo contesto così piacevole, si ritrova a non poter godere della bellezza che la circonda, portando un doloroso lutto nel cuore.

    Oltre a questo forte contrasto, per certi versi inaspettato, mi ha colpito il fatto che tutti i protagonisti non siano riusciti a trovare conforto in nessuno per lenire la loro solitudine, anche se sia il ragazzo che vende le rose che la pittrice almeno alla fine cerchino di superare in qualche modo il trauma che li ha colpiti, lui donando un po' di gentilezza distribuendo i fiori ai passanti, lei trovando sfogo nell'arte.

    Altro particolare che ho trovato interessante è la mancanza - eccetto che per il primo racconto, su cui mi ritrovo da storica a rivolgerti gli stessi appunti fatti da Rue - di una collocazione temporale definita dei racconti, che così sembrano sospesi nel tempo, quasi come favole che vengono tramandate e che la narratrice di riporta.

    Sono storie di disperazione molto tristi e realistiche, che qualche volta avrei sperato avessero un finale meno tragico :(

    Dal punto di vista del linguaggio, riesci a risultare scorrevole anche se usi tanti aggettivi e termini molto ricercati; qualche volta però ho notato delle ripetizioni a distanza di poche righe e spesso ci sono anche dei refusi qui e là, con parole tronche o digitate in maniera erronea, che credo potresti correggere facilmente con una seconda lettura più attenta.

    Comunque si percepisce da come scrivi che per te stendere una storia è un momento di sfogo quasi terapeutico, per cui ti incoraggio ad andare avanti e spero di trovare il tempo per leggere altro di tuo ;)
     
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    Il terzo racconto credo sia quello che mi è piaciuto di più. Ho sentito molto il tuo legame con Venezia mentre lo leggevo (ti piace proprio ambientare storie d'amore in questa città, vero? ^_^ ). Peccato per il mancato lieto fine, ma me lo aspettavo...
     
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    Sono passata a leggere il quarto racconto.
    Come al solito dai moltissimo spazio alla componente descrittiva, specie quando si tratta di rappresentare i paesaggi naturali. Si avverte un certo profumo di primavera nella parte iniziale della storia... ;) Il giardino sembra un piccolo Paradiso in terra, non c'è che dire!
    La pittrice è una figura molto triste, ma con un carattere dolce e forte allo stesso tempo: nonostante il suo profondo dolore, non cede completamente alla disperazione e cerca di trovare delle ragioni per continuare a vivere. Dapprima ho pensato che la ragazza che lei dipingeva fosse sua figlia, invece si è rivelata essere la sorella (non che questo renda la storia meno tragica! :cry: ).

    Il racconto si legge volentieri e sa coinvolgere il lettore, ma ti consiglio comunque una revisione, per sistemare gli errori di battitura. Infine, avrei due domande "tecniche". La prima: la raccolta può considerarsi conclusa, oppure hai in mente di aggiungere altri racconti? La seconda: negli indici ho indicato come categoria il bollino giallo, ma nel tuo primo post c'è scritto "bollino arancione"; hai cambiato idea mentre scrivevi gli ultimi racconti, oppure ho sbagliato io a riportare? È giusto per sapere se devo correggere gli indici :) Secondo me, ad ogni modo, il bollino giallo è sufficiente, perché non ci sono descrizioni dettagliate di scene violente o disturbanti, malgrado vengano affrontate tematiche difficili e molto serie.
     
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    Elizabeth Swann La raccolta non conclusa. Ci saranno altri racconti. Ne ho in mete di scriverne altri.
    Non so come li scriverò, se saranno crudi o meno crudi, anche perché al momento sto finendo di scrivendo altro. Se il Bollino giallo va bene, lo cambio in quel colore. Sono racconti piuttosto brevi. Non scenderò mai proprio nel dettaglio. :)
     
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    Re(gina) dei Pirati

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    Elfa della Luce
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    da qualche parte al fianco di Will Turner ❤

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    Perfetto, allora nell'indice lascio la dicitura "in corso". Tu, quando puoi, correggi il bollino ^_^
     
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13 replies since 2/9/2022, 14:59   187 views
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