LE MERAVIGLIE DELL'ITALIANO

(Ri)scopriamo inseme alcune caratteristiche della nostra bella lingua!

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    Salve, gente!
    Da parecchio tempo mi frullava in testa l’idea di creare una sorta di “guida” per scrivere meglio – intendo in un italiano il più possibile corretto ^_^ Poiché una buona parte di noi aspira a una vera pubblicazione delle proprie storie, credo che un po’ di approfondimento sulla grammatica sia molto importante, per migliorare progressivamente nella scrittura e acquisire una maggiore padronanza della lingua.
    In questa discussione farò quindi una specie di riepilogo di alcune regole e concetti fondamentali; servirà a me come ripasso, ma spero vivamente che possa rivelarsi utile anche per voi.

    Se avrete domande o obiezioni, i commenti saranno benvenuti. L’unica cosa che vi chiedo è di cercare di restare sul pezzo: se desiderate intervenire, fatelo in merito agli specifici argomenti che tratto (a meno che non vogliate propormene uno nuovo da affrontare) :)
    Buona lettura a tutti!


    Un po’ di analisi grammaticale


    Sappiamo tutti in cosa consiste l’analisi grammaticale, no? Si prende una frase, si isolano uno per uno gli elementi che la compongono e si spiega a quale categoria – grammaticale, per l’appunto – appartiene ciascun elemento.
    L’esistenza delle categorie in questione, ovvero le nove parti del discorso, ci permette di classificare le innumerevoli parole che formano la nostra lingua, aiutandoci a comprendere come funziona. In altri termini, ci semplifica la vita quando impariamo l’italiano sui libri :lol:

    Come forse ricorderete dai vostri primi anni di scuola, le nove parti del discorso si dividono in parti variabili e parti invariabili.
    Quelle variabili sono: articoli, nomi, aggettivi, verbi e pronomi.
    Quelle invariabili, invece, sono: avverbi, preposizioni, congiunzioni e interiezioni.

    Mi sembra che, qui sul forum, a creare maggiori incertezze/difficoltà nella scrittura sia l’uso dei verbi e dei pronomi, perciò vorrei dedicare i miei approfondimenti a queste due specifiche parti del discorso
    :)


    Cominciamo con i verbi.
    Come sapete, l’italiano ha molti tempi e modi verbali: il tempo indica il momento in cui si svolge l’azione (che può avvenire nel passato, nel presente o nel futuro), mentre il modo indica l’atteggiamento assunto da chi parla o scrive (dubbio, certezza, possibilità…) nei confronti di ciò che sta esprimendo.

    Tra i modi del verbo ne distinguiamo quattro finiti (indicativo, congiuntivo, condizionale, imperativo) e tre indefiniti (participio, infinito e gerundio).
    - L’indicativo è solitamente il modo più facile da usare, poiché esprime un fatto, un’azione o un’idea ritenuti reali e certi. È il modo della certezza, mi veniva detto alle scuole elementari :D Tuttavia, come vedremo più avanti, avere otto tempi lo porta a causare qualche difficoltà di utilizzo.
    - Il congiuntivo ha la fama di essere il modo più bistrattato: quello a cui la gente ricorre sempre meno, che ormai nessuno sa usare – e chi più ne ha più ne metta :XD: Esprime incertezza, possibilità, speranza, desiderio, augurio.
    - Il condizionale indica a sua volta una possibilità, realizzabile o meno a seconda delle condizioni. Va spesso a braccetto con il congiuntivo, ma non sempre.
    - L’imperativo si usa per dare ordini o fare esortazioni.

    Per quanto riguarda i modi indefiniti, solitamente il gerundio indica la contemporaneità fra più azioni, mentre il participio si chiama così perché “partecipa”, a seconda di come viene utilizzato, alle caratteristiche del verbo, del nome o dell’aggettivo. L’infinito, invece, si limita a esprimere il significato del verbo, sia esso inteso come azione, dato di fatto o modo di essere; approfondiremo questo aspetto in un altro momento, in relazione all’uso dei modi indefiniti.


    Occupiamoci adesso dei tempi verbali, partendo dagli otto famigerati tempi dell’indicativo ;)
    Sul presente possiamo soprassedere, dato che è quello più semplice. Concentriamoci, piuttosto, sui tempi passati.

    Il passato prossimo esprime un fatto già avvenuto, solitamente di recente, che può ancora avere degli effetti sul presente. Esempio:

    Ieri non sono riuscita a leggere i due capitoli della storia che mi avevi inviato via e-mail.


    Come vedete, l’azione espressa dalla frase risale a un passato non lontano (ieri) e può avere delle conseguenze nel momento attuale (chi mi ha inviato i capitoli potrebbe decidere di non inviarmene altri finché non avrò letto i primi due).

    Ma la “vicinanza” col presente può anche essere di carattere psicologico, priva di conseguenze concrete. Esempio:

    Ho fatto gli esami di maturità dieci anni fa.


    In questo caso sono trascorsi anni dall’azione, compiuta, conclusa e collocata in un tempo preciso; eppure, per ragioni emotive, questa viene percepita vicina al presente da chi parla (un po’ come dire: sembra ieri che mi è successa questa cosa! ;) )


    Passiamo all’imperfetto. Le azioni che esprime sono, in un certo senso, meno definite, senza riferimenti precisi al loro inizio o alla loro conclusione. Esempio:

    Il bambino giocava a pallone nel parco.


    Notate che la frase non comunica da quanto tempo il bambino giochi, né per quanto ancora giocherà.

    L’imperfetto è usato solitamente nelle descrizioni (la pioggia cadeva sul selciato), per esprimere azioni abituali o che si ripetono nel tempo (ogni mattina andavo a passeggiare fino in spiaggia), oppure per fare una richiesta nel presente, ma in modo particolarmente educato e dimesso (mi scusi, volevo chiederle…).
    È anche presente nel classico incipit delle fiabe (c’era una volta…)


    Il trapassato prossimo, invece, si utilizza per indicare un fatto avvenuto che si è concluso prima che ne avvenga un altro. Esempio:

    Sapevo che l’esame era andato benissimo!


    L’esame è stato ovviamente fatto prima di accertarsi (sapere) che era andato bene. L’azione di fare l’esame è passata e ormai conclusa nel tempo.


    Il passato remoto si può considerare il tempo preferito degli scrittori (anche se non sono rari i romanzi narrati al presente :) ). Indica un’azione compiuta nel passato – solitamente un passato lontano, da qui il termine “remoto” – e conclusa nel tempo, dalla quale ci può essere anche un distacco psicologico/emotivo (al contrario di quanto avviene con il passato prossimo). Esempio:

    Dante visse nel Medioevo! Non vive certo ai giorni nostri!


    In genere la formazione del passato remoto non crea problemi, tranne quando si tratta di verbi irregolari meno usati rispetto ai classici “fare” (feci, facesti, fece…), “dire” (dissi, dicesti, disse…), “essere” (fui, fosti, fu…) e “avere” (ebbi, avesti, ebbe…).
    Alcuni esempi: assolvere => assolsi, assolvesti, assolse…; cuocere => cossi, cuocesti, cosse…; flettere => flettei, flettesti, fletté…; giacere => giacqui, giacesti, giacque…; godere => godetti, godesti, godette…; redimere => redensi, redimesti, redense…; offrire => offrii, offristi, offrì
    Consiglio, in caso di dubbio, di consultare sempre un manuale di grammatica o di cercare su Internet la forma giusta del verbo da coniugare ^_^


    Anche il trapassato remoto indica un’azione compiuta nel passato e conclusa nel tempo, avvenuta prima di un’altra azione che di solito viene espressa con il passato remoto. Esempio:

    Quando ebbe smesso di piovere, il sole squarciò le nubi.



    Infine, il futuro anteriore (direi che non c’è bisogno di parlare del futuro semplice!) indica un’azione futura che precede un’altra azione futura. Esempio:

    Quando sarà arrivato il bel tempo, andremo al mare.


    Tutt’e due le cose devono ancora verificarsi, ma ce n’è una (l’arrivo del bel tempo) che deve avvenire prima dell’altra (l’azione di andare al mare).

    Come il futuro semplice, il futuro anteriore può avere valore di supposizione. Esempi:

    Se lui è andato via, sarà stato per un valido motivo (futuro anteriore)
    Mi è appena arrivato un pacco. Sarà della mia amica? (futuro semplice)





    Fonti utilizzate:

    - Grammatica e Scrittura, G. Balestra e T. Tiziano, Petrini Editore
    - Il Vocabolario Treccani. Grammatica, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
     
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    L’indicativo e le relazioni fra i tempi verbali


    Quando si scrive una storia, la coerenza nell’uso dei tempi verbali è fondamentale. Se, ad esempio, si inizia a raccontare con il passato remoto, è necessario continuare a usarlo nel resto della narrazione:

    Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione. (J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli)

    Tuttavia, poiché in italiano abbiamo diversi tipi di passato, è ovvio che le cose non si fermano qui :rolleyes: In una narrazione al passato remoto, infatti, possono benissimo comparire altri tempi verbali, a cominciare dall’imperfetto, che si usa per raccontare fatti considerati abituali e ricorrenti nel tempo, oppure per fare le descrizioni:

    Sir Walter Elliot, di Kellynch-hall, nel Somersetshire, non leggeva per svago altri libri che non fossero il «Baronetage»; ne traeva sentimenti di ammirazione e rispetto contemplando i pochi discendenti delle più antiche patenti di nobiltà […]. (Jane Austen, Persuasione)

    In un buco nella terra viveva uno hobbit. Non era un buco brutto, sudicio e umido, pieno di vermi e intriso di puzza, e nemmeno un buco spoglio, arido e secco, senza niente su cui sedersi né da mangiare: era un buco-hobbit, vale a dire comodo.
    Aveva una porta perfettamente rotonda come un oblò, dipinta di verde, con un lucido pomello d’ottone proprio nel mezzo.

    (J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit)

    Faccio notare che, in questo secondo caso, l’incipit espresso all’imperfetto («In un buco nella terra viveva uno hobbit») richiama quelli delle fiabe che vengono dalla tradizione orale (si prenda ad esempio l’incipit di Hänsel e Grethel dei fratelli Grimm: «Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che sfamarsi»). Il che non è affatto un caso, visto che il romanzo Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien è proprio una fiaba! Ciò non significa che, nel momento in cui si passa al vero e proprio inizio della storia (ovvero la situazione di partenza in cui s’interrompe la routine quotidiana del protagonista), la narrazione continui all’imperfetto. Poiché questo tempo verbale, come già detto, risulta meno definito rispetto al passato prossimo o al passato remoto, quando si racconta lo si usa soltanto in momenti specifici (per l’appunto, descrizioni o riferimenti di fatti abituali e/o azioni ripetute), non come tempo principale della narrazione. Restiamo sul caso dello Hobbit:

    Tutto quello che l’ignaro Bilbo vide quel mattino fu un vecchio con un bastone. Aveva un alto cappello blu a punta, un lungo mantello grigio, una sciarpa argentea sopra la quale la sua lunga barba bianca penzolava fin sotto la vita, e immensi stivali neri.
    «Buongiorno!» disse Bilbo
    […].
    (J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit)

    Il tempo principale della narrazione è il passato remoto; l’autore si serve dell’imperfetto per descrivere l’aspetto di un personaggio appena entrato in scena.


    L’imperfetto si usa anche quando c’è contemporaneità fra due azioni passate, una delle quali può essere espressa con l’imperfetto stesso oppure con un altro tempo verbale al passato.

    Per un attimo [Meggie] pensò che [suo padre] le avrebbe raccontato tutto, ammesso che ci fosse qualcosa da raccontare.
    Ma lui scosse la testa […]. «Tua madre ha una zia […]. Una volta siamo stati da lei, quando tu eri ancora piccolina. È tanto tempo che mi chiede di rimetterle in sesto dei libri […].» Mentre parlava, evitava il suo sguardo.

    (Cornelia Funke, Cuore d’inchiostro)

    Era l’alba quando Meggie aprì gli occhi di colpo. (Cornelia Funke, Cuore d’inchiostro)

    La contemporaneità di due azioni può essere espressa tramite l’uso di “mentre”, “intanto che” e simili; dopodiché segue il verbo coniugato all’imperfetto. L’altro verbo, invece, va coniugato tenendo conto delle caratteristiche dell’azione espressa.
    Nel primo dei due casi qui sopra, le azioni – quella di parlare e quella di evitare lo sguardo dell’interlocutrice – vanno di pari passo. L’autrice riporta prima le parole pronunciate dal soggetto, tramite l’uso del discorso diretto; poi dice cosa fa il soggetto durante il suo discorso. Si tratta di due azioni che vanno avanti per un po’, coprendo entrambe un periodo di tempo indefinito (non sappiamo quanto impieghi esattamente il personaggio a parlare). Per questo c’è due volte l’imperfetto.
    Nel secondo caso, al contrario, c’è un passato remoto. Poiché aprire gli occhi è, per sua natura, un gesto piuttosto rapido, l’azione non può che “occupare” un istante e poi finire; il passato remoto indica un’azione conclusasi nel tempo, quindi si adatta perfettamente alla situazione.


    Tutto dipende, insomma, dalla collocazione temporale che diamo all’azione espressa dal verbo. Diciamo che l’imperfetto indica un’azione andata avanti per un po’, “continuata” nel tempo (o abitudinaria, quindi ripetuta più volte); il passato remoto indica un’azione che si è svolta in un determinato istante ed è terminata, quindi “fissata” nel tempo.
    Per maggiore chiarezza provo a fare un paio di esempi, inventati da me al volo :)

    Mentre correvo, inciampai lungo il corridoio. Mi rialzai subito.
    Verbo correre => azione “continuata”, che è andata avanti per un po’ di tempo (non si sa quanto). Durante lo svolgimento di quest’azione, c’è un momento in cui se n’è verificata un’altra (quella di inciampare), alla quale è seguita l’azione successiva (rialzarsi). Verbo inciampare => azione “fissata”, svoltasi in un determinato istante e poi terminata. Stesso discorso per il verbo rialzarsi.

    Mi piaceva andare al mare la mattina presto, quando in spiaggia non c’era quasi nessuno. Quel giorno ritardai senza volerlo.
    Verbo piacere => azione abitudinaria, ripetuta più di una volta nel corso della vita del soggetto. Verbo essere => descrizione (legata all’azione abitudinaria precedentemente espressa). Verbo ritardare => azione “fissata” nel tempo. (Il seguito della narrazione sarà incentrato su uno specifico momento, poiché probabilmente la voce narrante racconterà, servendosi del passato remoto, cos’è successo «quel giorno» del ritardo.)



    L’uso del trapassato

    Nelle narrazioni al passato, il trapassato prossimo viene utilizzato per esprimere azioni avvenute prima degli avvenimenti che la storia racconta. Non c’è quindi un rapporto di contemporaneità, bensì di anteriorità rispetto ai fatti narrati. Prendiamo in esame questo passaggio di Persuasione, nel quale si parla di sir Walter Elliot e di sua moglie morta:

    Nella vanità si riassumeva il carattere di sir Walter Elliot; vanità della propria persona e della propria condizione. […]
    Lady Elliot era stata una donna ammirevole, intelligente e amabile; il suo buon senso e il suo comportamento, sempre che le potesse venir perdonata la giovanile infatuazione che aveva fatto di lei Lady Elliot, erano da allora stati impeccabili.

    (Jane Austen, Persuasione)

    La morte di Lady Elliot e il modo in cui lei si è comportata in vita precedono la vicenda principale del romanzo; si può dire che siano parte dell’antefatto. Ecco perché vengono riferite al lettore tramite l’uso del trapassato prossimo. Al contrario, sir Walter è ancora vivo nel corso della vicenda narrata; l’imperfetto «si riassumeva» serve per descrivere brevemente il carattere del personaggio.


    Quanto al trapassato remoto, esprime anch’esso anteriorità, ma è un tempo verbale ormai in disuso, utilizzato raramente. D’altronde, non è difficile sostituirlo formulando la frase in modo diverso. Faccio degli esempi:

    Finché Anna non ebbe scoperto la verità, continuò a credere alle bugie che le venivano dette => Finché Anna non scoprì la verità, continuò a credere alle bugie che le venivano dette (passato remoto)

    Dopo che ebbi scelto di accompagnarla in viaggio, notai che mia sorella era più felice => Dopo aver scelto di accompagnarla in viaggio, notai che mia sorella era più felice (infinito)



    L’uso del presente

    In una storia raccontata al passato può capitare di trovare verbi coniugati al presente. Mi riferisco sempre alla parte narrata (non certo ai dialoghi, nei quali l’uso del presente è frequentissimo!). Vediamo perché succede, attraverso due esempi: un estratto di un’opera realistica e un estratto di un’opera fantastica. Cominciamo con la prima:

    È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo largamente provvisto di beni di fortuna debba sentire il bisogno di ammogliarsi.
    Per quanto poco si conoscano, di costui, i sentimenti e le intenzioni, fino dal suo primo apparire nelle vicinanze, questa verità si trova così radicata nelle teste delle famiglie circostanti che queste lo considerano senz’altro come la legittima proprietà dell’una o dell’altra delle loro figliuole.
    «Mio caro Bennet» gli disse un giorno la sua signora «hai sentito che Netherfield Park è stato finalmente affittato?»
    Il signor Bennet rispose che non lo sapeva.

    (Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio)

    In questo incipit di un suo romanzo, l’autrice si serve del presente; più avanti “salta” al passato.
    Se il passato remoto è il tempo principale della narrazione, come avviene in tante altre opere, il presente viene utilizzato per esprimere quella che, secondo la voce narrante, è una realtà fattuale che non conosce tempo, che risulta sempre e comunque valida.


    Il Jordan era il più ricco e grandioso di tutti i college di Oxford. E probabilmente era anche il più vasto, anche se nessuno lo sapeva con certezza. Le date di costruzione dei vari edifici, che erano raggruppati attorno a tre quadrilateri irregolari, erano distribuite in tutto il periodo che va dall’alto Medioevo alla metà del diciottesimo secolo. Non c’era mai stato un progetto complessivo; era cresciuto un pezzetto alla volta, […] fino a dare un effetto generale di grandiosità confusa e squallida.
    (Philip Pullman, La bussola d’oro)

    In questo estratto di un romanzo fantastico, ci troviamo di fronte a una parte descrittiva con i verbi coniugati all’imperfetto, ma a un certo punto fa capolino un verbo al presente: “va”. Ciò avviene per via del riferimento a un dato esistente nella nostra realtà: la suddivisione convenzionale dei vari periodi storici (notate che è menzionato l’alto Medioevo). In tal modo l’autore crea un collegamento diretto fra la realtà “alternativa” da lui concepita e il mondo reale, lasciando intendere che condividono delle somiglianze.




    Fonti utilizzate:

    - Grammatica e Scrittura, G. Balestra e T. Tiziano, Petrini Editore
    - Il Vocabolario Treccani. Grammatica, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani


    Edited by Elizabeth Swann - 6/7/2023, 22:37
     
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    Grazie, Ellie, per il post interessante e molto utile! Visto il tema grammaticale, potremmo ripassare la punteggiatura? io ho qualche problema con le virgole :XD: , e poi credo che faccia bene un po' a tutti!
     
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    Mi associo alla richiesta di Rue Ryuzaki di un vademecum per l'uso delle virgole.
     
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    Vlad Valacchio e Rue Ryuzaki non so se avete visto il mio breve messaggio in tagboard, ma per sicurezza lo dico anche qui: il post sulla punteggiatura ci sarà :) Non so ancora dirvi quando, ma arriverà - e farò del mio meglio affinché arrivi al più presto! Prima, ad ogni modo, penso sia necessario un piccolo ripasso di analisi logica ;)
     
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4 replies since 6/7/2023, 19:10   100 views
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