La storia di Daisy

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    Cantastorie

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    La storia di Daisy

    CATEGORIA: bollino verde
    GENERE: malinconico, sentimentale

    Sinossi
    Una giovane coppia parte per il viaggio di nozze dei sogni, ignara del destino che la aspetta.

    ☆ ☆ ☆ ☆ ☆


    Avevo sempre avuto l'impressione che quel viaggio non sarebbe andato bene. Nessuna nave poteva essere davvero inaffondabile. E purtroppo avevo ragione: la "nave dei sogni" era destinata a diventare un incubo.
    Carl ed io ci eravamo sposati sei anni prima e aspettavamo ormai il secondo figlio. La nostra bimba, Eliza, era nata da un episodio indesiderato che per fortuna si era concluso in un "e vissero felici e contenti". Nessuno si era accorto della pancia sotto al vestito da sposa, che avevo appositamente scelto molto ampio. Dopo il matrimonio eravamo entrambi troppo poveri per permetterci un viaggio di nozze, così avevamo sempre rimandato.
    Quell'anno, il 1912, eravamo finalmente riusciti a mettere da parte del denaro, grazie al nuovo lavoro di mio marito che aveva avuto una di quelle botte di fortuna che ti cambiano la vita.

    Aveva insistito tanto per viaggiare a bordo del nuovo transatlantico che era stato in costruzione i due anni precedenti, mentre io non sono mai stata un'amante del mare e delle barche: mi fanno un po' paura, sarà perché non so nuotare. Ma per me non c'era cosa più importante di rendere felice mio marito. Lui mi aveva salvata: mi aveva sposata giovanissima, sapendo che aspettavo un bimbo che non era suo, cosa che non mi aveva mai rinfacciato. Sapeva che quello che era successo non era colpa mia e che nulla avrebbe mai giustificato la violenza che avevo subito. E io per questo gli avevo giurato eterna fedeltà e gratitudine. Se voleva un viaggio di nozze su un transatlantico, sarei stata felice di andare con lui. "Che sarà mai", avevo pensato, "c'è gente che parte per mare ogni giorno e torna sana e salva". Ah, povera me: se solo avessi saputo che il Titanic non era tanto resistente come il nome che portava…

    Ho pochissimi e sfocati ricordi di quella vacanza, e ogni volta che ci penso mi arrabbio: furono gli ultimi momenti che passai con la mia famiglia, momenti meravigliosi, peraltro, e ciò che riesco a ricordare è solo quella stupida notte, dove tutto è andato perduto.
    Nella mia testa è indelebile l'immagine di quell'uomo che, scherzando, disse che poteva sentire il profumo del ghiaccio. Che poi, stava scherzando davvero? O semplicemente aveva intuito qualcosa che avrebbe preferito non sapere?

    La nostra stanza era enorme. Le pareti erano color avorio, con decorazioni floreali in verde scuro, e dalle due finestre circolari entravano i raggi del sole durante il giorno e il freddo glaciale durante la notte. Non sembrava per nulla primavera: faceva un freddo cane. Inoltre, in mezzo all'oceano non c'erano prati, ruscelli che scorrevano o fiori colorati che sprigionavano mille profumi. Li avrei sentiti volentieri quei profumi. Gli odori della primavera mi avevano sempre confortata: anche la pioggerellina fastidiosa di aprile aveva un profumo meraviglioso.

    A Sheffield passavo le giornate con Eliza e Carl a Weston Park, e stavo sdraiata sull'erba, annusando l'aria a pieni polmoni. A Carl piacevano le margherite, e ogni volta me ne regalava una che mi infilava fra i capelli, sorridendo. Aveva trasmesso questa passione ad Eliza, che mi portava sempre una collana di margherite e me la faceva indossare, dandomi un bacio sulla guancia e dicendomi: «Sei la più bella, mamma». I ricci scuri le svolazzavano intorno al volto, mentre mi rivolgeva un sorriso sdentato che mi strappava sempre una risata. Era la bimba più dolce del mondo.

    La abbracciavo stretta stretta e sprofondavo il volto nei suoi capelli, annusandone l'odore. Non so dire che odore fosse, ma posso affermare con certezza che ogni bambino ha un suo profumo caratteristico, che svanisce man mano che cresce. Eliza profumava proprio di Eliza. E tutte le volte che mi ero ritrovata ad arrossire per l'assurdità di questi pensieri, mai avrei anche solo immaginato che avrei rimpianto il fatto di essermene vergognata.

    Passammo dei giorni stupendi e spensierati. Sembrava davvero la vacanza dei sogni. Ricordo il suono della risata di Eliza e i baci di Carl sulla pelle. Ricordo anche il bimbo che tirava qualche calcio, ogni tanto, ricordandoci che stava per arrivare. Ricordo il vento freddo che s'infrangeva sul mio viso, portandomi l'odore dell'acqua e incrostandomi i capelli di sale.
    Ricordo anche, però, quella brutta sensazione che non mi lasciò nemmeno un secondo di quei cinque giorni. Sai quando hai qualcosa che ti ronza in testa in continuazione? E da una parte sai che devi smetterla di farti problemi per tutto, dall'altra sei convinta che le sensazioni siano sempre valide premonitrici.

    Poi il buio e il freddo. La stanza che tremava e le luci che si spegnevano. Le urla spaventate che erompevano nei corridoi e l'acqua che cominciava a salire. Le grate che si abbassavano e Carl che mi urlava di passarci sotto con la bimba. Il volto di mio marito che scompariva nell'acqua dietro le sbarre, la consapevolezza di averlo perso. Le corse contro il tempo nell'acqua gelida e le dita di Eliza che a poco a poco lasciavano la mia mano.
    Pensavo fosse inciampata nell'acqua, così mi girai verso di lei, che trascinavo per un braccio dietro di me, ma fuori dall'acqua sbucava solo la sua manina. Mi si fermò il cuore. Cercai alla cieca il suo esile corpo, lo sollevai rapidamente e lo presi in braccio, continuando la corsa disperata per le scale. Non c'era tempo per fermarsi. Dovevo arrivare su.

    Sbucai finalmente sul pontile, appoggiai delicatamente il corpo di Eliza a terra e chiamai aiuto, tentando di rianimarla scuotendole le spalle. C'era una confusione tremenda e ognuno pensava a salvare se stesso e la sua famiglia, ma, quando si tratta di bimbi piccoli, c'è sempre una generale apprensione che anima la gente . Un gruppetto di persone accerchiò me e il corpicino di mia figlia, finché un uomo si fece largo fra gli altri, urlando qualcosa che non ascoltai. Si inginocchiò vicino a me e mi disse che era un medico. Chinato sulla mia bambina, mi disse che non la sentiva respirare, ma che facendo pressione sulle arterie del collo era chiaro che fosse ancora viva. Mi chiese se era successo qualcosa in particolare o se aveva semplicemente perso conoscenza. Ero talmente spaventata che dovetti fargli ripetere la domanda. Un senso di impotenza mi travolse nel realizzare che non avevo idea di cosa fosse accaduto. Semplicemente mi stava seguendo e dopo un secondo era sott'acqua. Non l'avevo neanche vista, era dietro di me. Pensavo che tenerla stretta per mano fosse sufficiente per non perderla d'occhio. Mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo. Mi sentivo così stupida…

    È lì che cominciò la mia prigione. Lo capii subito. Nel momento in cui il dottore, dopo aver tentato di rianimare Eliza e con due dita ancora sul piccolo collo di mia figlia, mi guardò con aria mortificata e sussurrò un "mi dispiace" soffocato: capii che quel giorno sarei morta anch'io. Insieme a Carl, a cui avevo promesso fra le lacrime che mi sarei presa cura di nostra figlia. Insieme a tutte le altre vittime dell'acqua ghiacciata di quel 15 aprile. Insieme a tutti quei parenti che aspettavano di rivedere dei cari che non avrebbero più riabbracciato. Insieme ad Eliza.

    Mi sentii soffocare. Mi chinai sul corpo di Eliza, baciandole il volto e sperando in un miracolo, sperando che si risvegliasse e mi dicesse ancora una volta «sei la più bella, mamma». Ma la sua pelle era fredda e pallida e i suoi occhi senza espressione. La mia bambina era morta, e io non sapevo neanche il perché. Ciò che sapevo, invece, era che era colpa mia. E non me lo sarei mai perdonata.

    Delle braccia forti mi strattonarono e mi misero in piedi, trascinandomi verso le
    scialuppe, incuranti delle mie urla che imploravano di lasciarmi lì. Un signore in divisa mi ordinò di salire sulla scialuppa riservata alle donne e ai bambini, ma io non volevo. Non avrei lasciato Eliza là da sola. Sarei rimasta con lei. Saremmo rimaste insieme nelle acque nere dell'oceano e ci saremmo ritrovate in cielo, con Carl. Ci saremmo riabbracciati e saremmo tornati a ridere tutti insieme, sdraiati sull'erba di un prato. Avevo promesso a Eliza una vita piena di gioia. Avevo promesso a Carl di proteggere nostra figlia. Non ero riuscita a rispettare nessuno dei due patti: a che scopo avrei vissuto? Con quale coraggio sarei andata avanti, sapendo di aver tradito le due persone più importanti della mia vita?

    Un movimento nella mia pancia mi portò a rivolgere lo sguardo verso il basso. Vidi la mia vestaglia attillata che si muoveva lentamente, un dettaglio quasi invisibile. I pensieri nella mia testa si fermarono, e si fece strada un barlume di lucidità. Eliza non c'era più. Carl non c'era più. Ma io c'ero. Il mio bambino c'era. Anche se sarei sempre stata imprigionata nel ricordo di quella notte, non spettava a me scegliere il futuro del mio bambino. Non era giusto. Non ero riuscita a mantenere la promessa fatta a Carl di proteggere Eliza, ma avrei rispettato quella di proteggere mio figlio. Nostro figlio. Accettai di salire sulla scialuppa, ma a una condizione: che potessi portare Eliza con me, per poterla seppellire in modo decoroso, così che ci fosse una lapide dove potessi piangerla ogni giorno della mia vita.

    Il signore in divisa, dopo un momento di esitazione, andò verso Eliza e la raccolse
    dolcemente, per poi tornare verso di me e lasciare che la prendessi in braccio.
    Lo guardai negli occhi, con il corpo inerte di mia figlia contro il mio, e gli sussurrai un "grazie" riconoscente. L'orchestra in sottofondo suonava "Nearer, my God, to Thee" mentre la scialuppa veniva calata giù.

    Non passò giorno in cui non pensai al bel sorriso di Carl e ai suoi occhi luminosi. Ogni mattina e ogni sera andavo in cimitero a portare un fiore alla mia bimba. Ogni notte sognavo di danzare con loro sull'erba profumata di Weston Park, con i fiori che solleticano i piedi e il vento che scompiglia i capelli, portando i profumi della primavera. Sorridevo raramente, solo quando pensavo a loro, alla nostra vita passata e a quella perduta. Il dolore che portavo dentro non mi permise mai di cercare di nuovo la felicità. Vivevo in una prigione di ricordi dalla quale, probabilmente, non sarei mai uscita.

    Gli ultimi mesi di gravidanza furono i più difficili. Non volevo l'aiuto di nessuno, ero sola e volevo restarlo, proprio come avevo lasciato soli Carl ed Eliza. La mia testa, il mio cuore mi stavano punendo. Il rancore mi divorava da dentro e solo ora mi rendo conto che stavo vivendo perché obbligata dal pensiero di dover dare vita a mio figlio, e non per la gioia di mettere al mondo tutto ciò che mi rimaneva di Carl. Vivevo per obbligo, un obbligo che mi portavo sulle spalle, a braccetto con il dolore. Chissà se anche gli altri sopravvissuti alla tragedia si erano ritrovati a vivere sentendosi perennemente colpevoli... C'è chi per i sensi di colpa si ammazza, e chi vorrebbe farlo , ma si costringe a vivere.

    Poi arrivò il giorno del parto. Non ricordo nulla del momento esatto in cui è nato mio figlio. Ciò che mi ricorderò per sempre è l'emozione stranissima che ho provato sapendo che, in realtà, era una bambina. Per mesi mi ero convinta che avrei avuto un maschietto.
    Volevo chiamarlo Carl, per onorarlo con il nome di un uomo buono e generoso. Mi ero immaginata di ricominciare da zero con un bimbo e ricostruirci una vita insieme, sebbene destinata alla prigione dei miei sensi di colpa. Sembra stupido, ma in questo progetto c'eravamo io e il mio bambino, non una bambina. Io avevo solo una bambina, ed era Eliza, che non era più lì con me perché non ero stata in grado di prendermene cura. Mi assalì un misto di repulsione e terrore.
    Che poi, di cosa avevo paura? Cos'altro avevo da perdere? Spesso penso che quel panico che mi aveva travolto fosse un tentativo della mia testa di impedirmi di essere felice. La nascita di un figlio dovrebbe portare felicità, ma la mia testa non era d'accordo: io avrei dovuto essere triste per tutta la vita perché avevo perso mio marito e mia figlia, e non era giusto che io continuassi a vivere se loro non potevano farlo, non era giusto che io potessi ancora ridere e loro no.

    Ma quando la levatrice mi mise fra le braccia quello scricciolo avvolto da un lenzuolo bianco, mi fu impossibile non sorridere. Aveva gli occhi di Carl. E aveva un buon profumo. Sì, come tutti i bambini. Solo che quel profumo era il profumo della mia Eliza. In quel momento capii che questa bimba era arrivata per salvarmi. Era lì per liberarmi dalla mia prigione. Era lì per ricordarmi ogni giorno di Carl e del suo sguardo dolce, di Eliza e del suo profumo delicato.

    Quando mi venne chiesto che nome le volevo dare, risposi senza esitazione: «Daisy», "Margherita". Come la margherita che Carl mi infilava fra i capelli, accarezzandomi poi il volto. Come le margherite che Eliza intrecciava per farmi una collana e dirmi che ero la più bella. Come quella bimba, che mi aveva liberata dalla mia prigione di dolore e mi aveva riportato la voglia di vivere.
    La strinsi forte e le sussurrai che aveva un papà fantastico e una sorella meravigliosa. Cominciai a raccontarle di loro, guardandola mentre si addormentava in silenzio. E pensai che la vita con me, in fondo, era stata buona.
     
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    ~E adesso cercate di sognare, solo chi sogna può volare~

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    ~Dal regno delle fate 🧚❤️

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    Racconto bellissimo e commovente, appena ho capito che era incentrato sul Titanic sono rimasta colpita perché è uno dei miei film preferiti❤hai saputo caratterizzare la protagonista sia come innamorata che come mamma. La parte dei ricordi è stata dolcissima, ricordi fatti dell'odore del mare.Carl mi è sembrato un ragazzo molto comprensivo e la sua morte e quella della bambina è stata straziante,all'inizio pensavo sopravvivessero e mi è dispiaciuto tantissimo. La scelta del nome della bambina è stata molto poetica e lei è stata un'ancora di salvezza perché dal senso di colpa dei sopravvissuti fa ritrovare alla mamma il motivo per ricominciare a vivere❤E il titolo li conferma,la piccola Daisy è la chiave della storia.
    La mia parte preferita è stata il tenerissimo"Sei la più bella,mamma"di Eliza😭❤ Complimenti ancora😘
     
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    Poverina. Il destino gioca degli scherzi davvero crudeli. E si può dire che come Margherita ha salvato la madre, anche la madre adesso si prenderà cura in modo adeguato di sua figlia.
     
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    Cantastorie

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    dall' isola che non c'è

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    ~Sweet Dreamer~ ciao! Ti ringrazio davvero tanto per le tue parole, mi scaldano il cuore <3
    Sono contentissima di essere riuscita a trasmettere ciò che speravo, è stata un po' una sfida e a questo punto sono contenta di essermi cimentata in questo esperimento ^^
    Grazie per i complimenti e per il commento, è sempre bello sapere cosa riescono a comunicare le nostre parole :]

    l.pallad assolutamente ;)
    Sarà un'ottima madre, proprio come lo era già stata in precedenza... Si può dire che non si smetta mai davvero di essere madri, una volta che lo si diventa ^_^
     
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3 replies since 8/7/2023, 10:46   60 views
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