LA VILLA MALEDETTA DI GHOST PEAK

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    Nuova Opera! <3 :)

    Categoria: bollino arancione (ATTENZIONE ALCUNE SCENE POTREBBERO URTARE LA VOSTRA SENSIBILITÀ)
    Genere: Dark Horror Fantasy

    Sinossi:"L'oscura notte era calata nella città. La luna piena dal volto pallido e sfigurato, illuminava la foresta scheletrica che costeggiava la strada umida, cosparsa di foglie secche. Una bambina con indosso un cappello da strega e in mano un cestino di caramelle colorate, camminava lungo il ciglio della strada diretta verso l'inquietante villa abbandonata di Ghost Peak."
    Qui scoprirà un terrificante segreto di un'antica famiglia.
    Se avete amato Crimson Peak, vi invito a leggere la mia opera.

    LA VILLA MALEDETTA DI GHOST PEAK


    "Una casa così antica col tempo diventa una creatura viva, comincia a trattenere le cose, alcune buone, alcune cattive e alcune sulle quali dovrebbe scendere un eterno silenzio."
    -Thomas Sharpe


    L'oscura notte era calata sulla città.
    La luna piena, dal volto pallido e sfigurato, illuminava la foresta scheletrica che costeggiava la strada umida, cosparsa di foglie secche.

    Una bambina con indosso un cappello da strega e in mano un cestino di caramelle colorate camminava lungo il ciglio della carreggiata, diretta verso l'inquietante villa abbandonata di Ghost Peak.

    Sola soletta giunse davanti al grande edificio in stile liberty.

    La villa si ergeva esule in cima a una collinetta, circondata dai folti pini neri della foresta.

    Il luogo era oscuro e spettrale.

    La tonda e grande luna illuminava le mura dell'abitazione facendola apparire, dal buio della notte, macabra e inquietante.
    Aveva alcuni balconi spalancati, altri erano rosicati e mal messi, presagivano di cadere.
    I vetri delle finestre erano andati tutti in frantumi.
    Il portone d'ingresso in legno massiccio era semichiuso: invitava a entrare.
    La facciata dell'abitazione si presentava sporca.
    I muri erano scrostati e mostravano evidenti crepe, segno che con il tempo il terreno sotto la casa era forse ceduto a causa di qualche frana provocata dalle abbondanti precipitazioni della stagione autunnale.

    La villa era avvolta da una coltre di nebbia densa, pesante e umida che evaporava dal giardino circostante in cui crescevano alte erbacce.
    L'edera rampicante aveva preso il sopravvento in quel desolato e lapidario luogo: si era impadronita dell'edificio e lo aveva lentamente soffocato con i suoi rami, mentre i cespugli spinosi delle rose rosse appassite avevano affondato i loro artigli nelle statue in marmo bianco, scheggiate e rovinate, strozzando la loro sublime bellezza e avevano ricoperto anche il basamento della fontana in granito spaccandolo a metà.
    In mezzo al grottesco giardino spuntavano grigie lapidi dall'aria tetra, singolare e sconosciuta.

    La bambina osservava spaesata lo scenario spettrale davanti a sé.

    I capelli ramati, legati in due voluminose trecce, le ricadevano lungo il vestito nero.
    Nel suo volto tondo e pallido, i suoi occhi apparivano grandi, di colore azzurro ghiaccio ed erano cerchiati da una tetra ombra.
    Le sue labbra, tinte di rosa, erano serrate in un silenzio di morte.

    Un gufo bubbolò.

    All'improvviso la bambina udì un fruscio di foglie di bosco e dal buio della notte comparvero tre pipistrelli che volarono rapidi verso di lei, colpendola in viso.

    La piccola cacciò un urlo e cadde a terra nel fango.

    Si alzò ansimante. Una folata di vento gelido la fece correre e ricadere a faccia in giù davanti al portone della villa che si aprì emettendo un sinistro cigolio.

    La bambina sentì uno strano miagolio.

    Si rimise in piedi.

    Sopra alla veranda c'era un gatto nero dagli occhi color smeraldo che la fissava con sguardo maligno e penetrante.
    Mentre lo scrutava, dalla porta dell'abitazione, un'ombra oscura e fluida si materializzò davanti alla bambina e si trasformò in una mano scheletrica con lunghi e affiliati artigli. Afferrò con gesto brusco la piccola per il colletto dell'abito e la tirò dentro alla casa.

    Urlò spaventata.
    Era distesa su un pavimento di legno mal messo e impolverato.

    Quando si ritrovò a faccia a faccia con un ragno dalle zampe pelose, si rialzò all'istante.

    Lo cacciò via e si eresse in piedi, pulendosi ossessivamente il vestito.

    Aveva il respiro affannoso e corto.

    Voleva solo gridare e piangere.

    Si girò per uscire, ma la porta della casa era bloccata.

    Un inaspettato brivido di freddo scese lungo la sua schiena: sulla porta della casa vide una scritta che pareva essere stata fatta con il sangue. Sgranò gli occhi inorridita.

    Un sibilo giunse al suo orecchio: «Vai subito via e non tornare mai più.»

    La bambina non ci pensò due volte e riuscì ad aprire con impeto la porta, precipitandosi verso l'aria aperta.

    Corse fuori, ma inciampò su un ramo di una pianta spinosa.

    Gemette di dolore.

    Si ritrovò sprofondata nel terreno, davanti a una lapide in pietra grigia con su scritto: "Non scavare perché lì sono sotterrati i corpi degli appestati. Per noi vivi è meglio lasciarli riposare in pace."

    Alla bambina si accapponò la pelle.

    Sotto di lei, la terra bagnata iniziò a tremare; avvertì un boato seguito da un rumoroso scricchiolio.

    Si voltò verso la villa. Il suono era sempre più vicino e assordante: alle sue spalle stava succedendo qualcosa.

    La piccola non si accorse che dietro di lei si materializzò un esercito di creature bianche e scheletriche.
    Avvolte da un manto bianco, presero a fissare la bambina ancora seduta a terra.

    Una folla di fantasmi si era risvegliata dalle tenebre della notte.

    Uno di loro si acquattò e si avvicinò alla bambina e le posò una glaciale mano sopra alla spalla, sussurrandole: «Hai risvegliato i morti di Ghost Peak. Te ne pentirai...»

    Il fantasma fece voltare la bambina.
    Sgranò gli occhi.
    Spaventata spalancò la bocca e cacciò un forte urlo di sorpresa e terrore.

    Davanti a lei vide levitare dal terreno corpi su corpi di fantasmi che la squadrarono con cattiveria e malignità. Presero ad assillarla in coro: «Vattene o morirai, vattene o morirai.»

    La bambina voleva scappare ma era come immobilizzata, forse dalla troppa paura o forse perché aveva le gambe e le ginocchia insanguinate, affondate nella melma fangosa.

    I fantasmi la avvertirono un'ultima volta. «Troppo tardi, sta arrivando...»

    Dall'oscurità un enorme fantasma calvo, dal volto infossato e con due fessure nere al posto degli occhi, l'avvolse, ed entrò dentro di lei.
    Prese a soffocarla lentamente.
    La piccola sempre più impaurita provò a liberarsi dalla presa, ma non ci riuscì. Cadde a terra e svenne.

    «Non toccatela è un'anima innocente», sbraitò all'improvviso un'ombra bianca uscita dalla villa. Prese in braccio la bambina e la portò dentro di nuovo, sbattendo il portone.

    La povera e gracile creatura si ritrovò accasciata a terra, di nuovo, al centro dell'ingresso dell'abitazione.

    Poco a poco rinvenne dallo svenimento.

    Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare le tenebre.

    Era ancora a terra, il corpo le faceva male da morire, faticava a muovere le gambe e le braccia.
    C'erano troppa polvere e ragnatele, non riusciva a respirare bene.
    Tossì di colpo e si eresse in piedi, abbandonando il cappello da strega sulle assi del pavimento.

    Andò verso la porta, ma era di nuovo bloccata. Non riusciva ancora una volta ad aprirla. Prese a tirare il pomello con forza e più forza, con tutta quella che le era rimasta, ma nulla da fare.
    Si ritrovò bloccata là dentro.
    Era sola e indifesa.

    La bambina sentì un verso stridulo provenire proprio dietro le sue spalle.

    Una sensazione di freddo la invase.

    Si strinse a sé e lentamente si voltò.
    Non c'era nessuno.
    Solo il buio oscuro.
    Lasciò la presa dalla porta e si fece coraggio.

    Si incamminò, a piccoli passi, verso il centro della stanza, fino a giungere davanti all'uscio di una sala ampia: un salotto.

    La luce della luna entrava dalla vetrata rotta che dava sul giardino.

    La bambina non aveva il coraggio di affacciarsi, perché aveva paura di rivedere quegli orribili mostri incombere sul cimitero.

    La stanza era impolverata, ma stranamente in ordine. Le pareti erano ricoperte da una carta da parati giallognola con motivi floreali. Davanti a lei si stagliava una spaziosa libreria che ricopriva tutta la parete. Era stracolma di libri vecchi e ammuffiti, coperti da sottili ragnatele, dove si intravedevano piccoli ragni sostare immobili.

    La piccola fece una smorfia di disgusto e di disdegno. «Che schifo...», disse a fil di voce. «Odio i ragni...»

    Al centro della sala c'era un tavolo ovale in legno, con sopra un centrino bianco sporcato da macchie color crema e un vaso con dei fiori appassiti, soffocati da un'enorme ragnatela di polvere.
    Si guardò attorno.
    Era tutto così triste e logoro. Tutti quei libri abbandonati, tutte quelle storie mai lette o raccontate, chiuse in quelle pagine mai aperte.

    A un certo punto, la bambina udì di nuovo quello strano cigolio e le si accapponò la pelle.

    Questa volta sentì una leggera aria fredda abbracciarla da dietro.

    «Non dovresti essere qui, bambina.» Una voce le sussurrò all'orecchio.

    «C'è qualcuno?» Chiese, tremando di paura.

    «Non dovresti essere qui, bambina», ripetè di nuovo l'oscura e misteriosa voce.

    «Chi sei?» Domandò con tono forte e deciso.

    «Uno spirito cattivo.»

    «Che cosa vuoi?»

    «Questa domanda dovrei fartela io», sbottò maligno.

    La bambina deglutì.
    Sentì il respiro di lui attaccato al suo collo.

    «Perché sei qui? Cosa ti ha spinto a intrufolarti in casa mia?»

    «Niente, ehm, mi so...no per...sa», pronunciò balbettando. «Stavo andando a fare "dolcetto o scherzetto", ma sono inciampata in mezzo al bosco e poi mi sono ritrovata in una strada che mi ha portata fino a qui.» Aveva gli occhi lucidi. «Ti prego, dimmi come posso scappare via.» Lo implorò.

    «Semplice, non puoi, non puoi più...ora sei mia prigioniera...non si scappa da Ghost Peak!» Lo spirito l'afferrò per le spalle e la fece voltare.

    La bambina sgranò gli occhi e sul suo volto si dipinse un urlo di terrore.

    Davanti a lei si materializzò il fantasma di un giovane uomo in camicia e panciotto chiusi sul davanti. Aveva il viso squadrato, le guance infossate e gli zigomi pronunciati. Le labbra nere e sottili, gli occhi tondi color cristallo cerchiati di nero e i capelli ondulati, scuri e lisciati all'indietro. Lo spirito la prese in braccio e la scaraventò sopra a una poltrona in velluto cremisi, poi le si fiondò addosso e la bloccò per entrambi i polsi.

    La bambina inorridita dallo spirito, chiuse gli occhi urlando e dimenandosi come una pazza isterica.

    «Lasciami andare, ti prego, lasciami andare!» Le lacrime cominciarono a scendere copiose dal suo volto.

    Il fantasma dunque allentò la presa.

    La bambina riaprì gli occhi e vide che era scomparso.
    Tirò un sospiro di sollievo senza smettere di piagnucolare.

    Ancora più impaurita si rialzò e uscì dal salotto.

    Sentì un pianto calmo, seguito da lamenti di dolore.

    La bambina era ripiombata nell'oscurità, non riusciva a vedere né a scorgere di nuovo più niente, ma poteva sentire bene da dove proveniva quel patimento angosciante.

    Quando voltò lo sguardo verso sinistra, vide di nuovo il fantasma bianco spettrale che si dondolava su una sedia. Aveva la testa china, il volto rivolto verso il basso e gli occhi chiusi.
    Era lui che piangeva.

    La bambina sbigottita e preoccupata gli andò incontro, a piccoli passi, fino a giungere a pochi metri dallo spirito.

    Si ritrovò sull'uscio della porta che dava su una cucina semidistrutta e in disordine: c'erano pentole, mestoli e posate sparpagliate ovunque, sopra al tavolo e per terra. I cassetti delle credenze erano alcuni aperti e altri semi-distrutti. C'erano scaffali e mensole con piatti rotti.
    Era un ammasso di distruzione e confusione totale.
    Le ragnatele ricoprivano ogni oggetto. All'improvvisò un ratto comparì e scomparì da sotto il tavolo emettendo un acuto squittio.

    Il fantasma non smetteva di singhiozzare davanti ai resti di un camino ormai in disuso da anni.

    La bambina si avvicinò ancora di più a lui, con il fiato sospeso e senza smettere di fissarlo.

    «Perché piangi?» Ebbe il coraggio di domandargli.

    «Scusa se poco fa sono stato cattivo.» Le rispose singhiozzando.

    La bambina pronunciò un lieve sorriso nel suo volto.

    «Non avrei dovuto spaventarti in quel modo. Sono secoli che non ricevo visite, sono solo. Non ho nessuno.» Il fantasma alzò gli occhi lucidi verso di lei. «Mi perdoni?»

    «Sì», disse. Provò ad accarezzargli il dorso di una mano. Percepì subito quanto era freddo e umido.

    «Come ti chiami?» Domandò poi la piccola intrusa.

    «Barnaby e tu?»

    «Lucilla.»

    «Perché piangevi prima?» Chiese curiosa e in pena per lui.

    «Perché sono solo.»

    «Cosa ti è successo?»

    «Mi hanno ucciso.»

    La bambina trasalì incredula. «Com'è successo?»

    «Mi ha ucciso mia sorella.»

    La bambina era scioccata.

    «Sei sconvolta, vero?»

    «Com'è potuto succedere? Non ti voleva forse bene?»

    «O, sì, anche fin troppo bene.»

    «Troppo? E...»

    «Troppo da uccidermi.»

    «Ma perché?»

    «Mi voleva tutto per sé.»

    «Perché?» Domandò ancora la piccola. Il fantasma non le faceva più tanto timore. Si era fatta tutta curiosa.

    Il fantasma sbuffò. «Vuoi sentire una storia? La mia storia.»

    «Sì, certo.»

    «All'età di sedici anni mi innamorai di una giovane fanciulla dai capelli dorati come il sole e gli occhi verdi smeraldo. Era un incanto. Possedeva una personalità rara da trovare ai giorni nostri: era gentile, premurosa, altruista e buona. La più buona di tutte le persone dell'universo. Davvero una brava persona, una di quelle che vedono sempre il buono nell'umanità, una che crede sempre in te e che ama di più i tuoi difetti che i tuoi pregi. Quando la incontrai per la prima volta, stavo passeggiando in compagnia di mia sorella. Fu amore a prima vista. Rimasi ammaliato dalla sua bellezza e mi feci avanti. Mi presentai e lei fece lo stesso. Presi subito a corteggiarla. Nelle settimane avvenire mi invitò a prendere il tè molti pomeriggi consecutivi. Mia sorella iniziò a sospettare. Capì che mi ero innamorato, perché iniziai ad allontanarmi da lei per passare più tempo con la mia amata. Lei odiava ciò. Mi ha sempre voluto tutto per sé. Sai, nostra madre era morta dandomi alla luce, mio padre era sempre assente per affari e così dovette crescermi lei.»

    «Mi dispiace.»

    «Non devi dispiacerti. La morte fa parte della vita. Io e il mio amore continuammo a frequentarci. Ci conoscemmo meglio e ogni giorno che passava eravamo sempre più innamorati, mentre mia sorella era sempre più irritata, frustrata e arrabbiata. Mi stava ormai odiando a morte. Poche volte mi rivolgeva la parola. Quando è stato il momento giusto di annunciare il matrimonio alle nostre famiglie si scandalizzò. Io guardai il suo cuore spezzarsi. Fuggì via. Non la rividi più fino al giorno della mia morte, quando mi tagliò la gola proprio qui, su questa sedia, mentre stavo leggendo il giornale del mattino e mi gustavo il caffè zuccherato.»

    Solo ora la bambina si accorse che il collo del fantasma era segnato da un insolito solco scarlatto.

    «Non ti meritavi una fine così brutta...»

    «Cosa non si fa per amore....» Il fantasma abbassò di nuovo il capo ed evaporò nell'oscurità.

    La bambina rimase lì ferma e allibita.

    Il fantasma era andato via e l'aveva lasciata sola nella cucina della villa.

    Andò a sedersi sulla sedia a dondolo e rimase a fissare il camino, quando si accorse che il bagliore della luna, che filtrava dentro alla grande vetrata rotta, illuminava un mucchio di ossa coperte di cenere.

    All'improvviso sentì un orologio a pendolo rintoccare.
    Il suono rimbombò una volta nella villa abbandonata.

    La piccola sobbalzò spaventata e corse verso l'uscita, ma un rumore di battiti l'attirò.

    C'era qualcuno che bussava, da qualche parte, da dentro a un muro.
    Il rumore proveniva dal piano di sopra ed era insistente e regolare.

    «Sali...» Le ordinò qualcuno in un sussurro e come ipnotizzata, Lucilla salì ogni gradino cigolante fino ad arrivare in cima alla scala. Davanti a sé trovò una porta semichiusa.
    Accanto a essa c'era un grande orologio in legno, appeso alla parete, impolverato e con il vetro rotto.
    La piccola notò che il pendolo non c'era, ma lei giurò di averlo sentito battere almeno una volta.

    Udì picchiare sul muro ancora una volta, però più forte.

    Il rumore proveniva dalla stanza davanti a lei.

    Fece qualche passo in avanti, prese il pomello tra le mani e aprì la porta lentamente. Essa emise un cigolio fastidioso.

    «Barnaby, sei tu?»

    Entrò nella stanza, ma lui non c'era.

    C'era solo un'altra sedia a dondolo, illuminata dai raggi della luna e un armadio in legno sigillato e parzialmente coperto da un telo blu scuro.

    Lucilla sentì ancora qualcuno bussare. Quel rumore arrivava proprio da dentro l'armadio. Qualcuno stava bussando. C'era qualcuno lì dentro che voleva essere liberato.

    Allora la bambina si fece avanti e prese con tutte e due le mani le ante dell'armadio. Respirò a fondo e poi lo spalancò.

    Davanti a lei comparve da sotto un lucido mantello nero, una figura viva e spettrale. Un uomo dai capelli lucidi e neri, due occhi caldi come il fuoco, ma tenebrosi come la notte, infossati e cerchiati di nero, il viso pallido cadaverico, magro e spigoloso con le guance infossate, evidenziava le labbra rosse e sottili.

    Appena la vide le saltò addosso, la prese per il collo, le mostrò gli scintillanti e aguzzi candidi canini, dopodiché li affondò nella sua tenera carne morbida e profumata.
    Si nutrì della sua linfa e poi lasciò la presa facendola cadere a terra.

    La piccola aveva il collo con incisi due profondi buchi rossi, dai quali fuoriuscivano rivoli di sangue fresco.

    Il vampiro si asciugò le labbra cariche di sangue con un fazzoletto e lo gettò a terra.

    Guardò il corpo della bambina, poi andò a sedersi sulla sedia e, avvolto nel silenzio spettrale della stanza, attese.

    Lucilla, dopo qualche minuto, si risvegliò spossata.
    Aveva le vertigini e la testa le rimbombava. Davanti a lei il mostro la guardava con aria cupa, rigida, severa e perfida con le labbra inclinate verso un lato del viso.

    «Sei ancora viva a quanto vedo...», rise lui.

    La bambina sempre più impaurita e confusa si mise in ginocchio.

    «Cosa mi hai fatto?»

    «Scusami, non ho saputo resisterti, sei un buon bocconcino», affermò maligno.

    «Cosa sei?»

    «Indovina...»

    La bambina si rialzò in piedi ma venne subito invasa da un senso di vertigine e nausea.

    «Vivo solo, sono figlio di nessuno, un Demone scappato dall'Inferno. Sono il Signore Delle Tenebre. Il Re delle Creature della notte. Quella che voi umani temete più di tutte, perché io posso vivere solo grazie a voi. Sono quello che dorme di giorno e assetato di sangue di notte. Mi nascondo dietro i muri e dentro gli armadi delle case.»

    La bambina vacillò impaurita. «Sei un vampiro!»

    Il vampiro mostrò i suo affilati canini alla bambina.

    Si destò e andò verso di lei.

    «Mi chiamo Valerian e sono quello che ha rovinato questo luogo. Quello che ha distrutto questa villa e la sua famiglia. Quello che ha baciato la dolce e sensibile premurosa Joseline.» Lucilla lo guardò ipnotizzata, senza capire cosa stesse dicendo.

    Il vampiro si avvolse nel suo mantello, salì sul davanzale di una finestra e si lasciò cadere all'indietro.

    La bambina corse alla finestra e guardò giù.

    Si era volatilizzato come il fantasma.

    Un altro rintocco d'orologio.

    La bambina trasalì sempre più spaventata e inorridita da questa villa che nascondeva mille segreti e misteri.

    Uscì dalla stanza semi vuota e si riversò nel corridoio oscuro.
    Accanto a lei l'orologio aveva battuto la mezzanotte.

    Lucilla deglutì a fatica.

    Subito dopo avvertì un sordo cigolio provenire da una delle tante altre stanze alla sua sinistra.
    Voltò di scatto la testa e in fondo al corridoio intravide che da dietro una porta c'era un bagliore fioco, forse di una lampada ad olio che brillava fievole.
    C'era qualcuno là dentro.
    Lo percepiva.
    C'era un'altra presenza in quella casa, ma venne attirata da un familiare rumore: il portone della villa aveva scricchiolato. La porta si era di nuovo aperta. Poteva finalmente scappare da quel posto.
    Quel cigolio insolito venne però subito succeduto da un tonfo sordo e poi da un rumore di passi lenti e pesanti, seguiti da dei dolorosi lamenti: qualcuno stava trascinando il suo corpo pesante sopra il pavimento, al piano di sotto.

    Qualcuno, come lei, era entrato nella villa.
    La bambina rimase immobile con il fiato sospeso. Aveva di nuovo paura. Pregò che non salisse le scale, pregò di essere invisibile da lassù.
    Lei sentì il trascinarsi di passi verso il salotto fino a che non cessò.

    Rimase lì ferma ancora del tempo e infine tirò un respiro di sollievo.

    Non sapeva che fare.
    Era impaurita.
    Fece un passo in avanti, ma il pavimento di legno scricchiolò più del previsto.
    Si irrigidì e si immobilizzò all'istante, perché dal suo rumore nacque un altro di scricchiolio come se qualcuno si fosse appena mosso su una sedia di legno, seguito da un debole lamento di dolore.

    C'era veramente qualcuno di sotto e questa volta l'aveva sentita.

    Cominciò a sudare freddo.

    Si voltò verso la porta pronta a rifugiarsi in quel bagliore di luce in fondo allo stretto corridoio.

    Percepì di nuovo il trascinamento di passi e poi un altro scricchiolio e un altro ancora, fino a diventare il suono più macabro e angosciante di tutti, e infine un ultimo cigolio accompagnato da un lento gemito di dolore.

    La bambina sbarrò gli occhi: la misteriosa creatura stava salendo le scale.

    Era terrorizzata. Il suo corpo venne pervaso da spasmi e tremori di panico.

    La figura salì la scalinata e quando fu in cima sbuffò.

    Lucilla sentì il suo alito pesante che odorava di morte e putrefazione.
    Represse un conato di vomito e si voltò. Nell'oscurità intravide la figura. Cacciò un urlo agghiacciante, che esplose dalla sua anima.

    Lo strano mostro la prese e la gettò giù dalle scale.

    La bambina batté la testa e il buio divenne ancora più buio.

    Quando riaprì gli occhi davanti a lei si ritrovò il viso sfigurato, forse di una giovane fanciulla, ustionato, scorticato e in parte coperto da dalle bende cadenti, che la guardava con occhi vitrei. Alcuni ciuffi di capelli ondulati e ossigenati, dalle punte bruciacchiate, le spuntavano dalla nuca pelata e fasciata.
    Pareva uno zombie vivente.

    La bambina cacciò un urlo di disperazione. «Vattene ti prego, vai via! Mostro!»

    Ma la creatura non le diede ascolto. Allungò un braccio scheletrico e con la mano le accarezzò una guancia, sporcandola di sangue.

    Lucilla, a quel tocco, freddo, viscido e rugoso, si immobilizzò spaventata.

    «Non voglio farti del male, bambina.»

    «Chi sei? Cosa vuoi?» Chiese con le lacrime agli occhi.

    «Niente...» Si ritrasse, le voltò le spalle e andò verso il salotto.

    La bambina rimase seduta sul pavimento a guardare questo corpo morto muoversi a fatica verso la sala dei libri.

    La bambina si rialzò e seguì la figura.
    Andò verso l'uscio e la vide sedersi sulla poltrona, dove poco prima il fantasma l'aveva spinta.

    In mano aveva un libro, stava leggendo.

    La piccola si avvicinò di più alla figura bendata.

    «Chi sei tu?»

    «Sono Annabelle. » La guardò in viso e le sorrise, mostrando i denti neri inceneriti. «Siediti pure vicino a me. Mi hai svegliata dal mio eterno riposo.»

    «Svegliata? Io? Ma com' è possibile?!»

    La bambina si pose di fronte alla strana creatura.

    Nella luce della luna la vide nella sua completa e brutale disgrazia.
    Era una giovane donna, dal viso sanguinante, scorticato e parzialmente bendato da strisce di tessuto bianco che si staccavano dalla sua pelle nera e rossa putrefatta, mangiata da mosche e larve bianche che le accarezzavano il viso, infilandosi in ogni sua ferita aperta.
    Era una scena orripilante.
    La bambina represse un altro conato di vomito.
    Il resto del suo corpo era coperto da una camicia da notte, lunga, in pizzo e ricamata con un motivo floreale, le maniche corte a palloncino lasciavano scoperte le braccia scheletriche e le mani anch'esse parzialmente bendate e scorticate in cui si annidavano nere formiche.
    La piccola rabbrividì disgustata per essere stata toccata da un morto che cammina e che parla.

    «Che ci fai qui, dolce bimba?»

    «Mi sono persa...»

    «Non dovresti essere qui. È una casa maledetta questa.»

    «Da chi è sta maledetta?»

    «Da una strega.» I suo occhi piansero lacrime acide che bruciarono la sua pelle già ustionata. «Dalla sorella del mio caro amato Barnaby.»

    La bambina era sconcertata. Davanti aveva il povero e innocente amore del fantasma incontrato poco fa.

    «Perché sei ridotta così?»

    «Sono stata uccisa. Mi ha ucciso quella strega. Era troppo gelosa del fratello, perché aveva riposto tutte le sue attenzioni solo su di me. Quando è ritornata dalla sua fuga è diventata più perfida e cattiva di prima. Una sera ero in cucina, non riuscivo a dormire, ero agitata per il nostro matrimonio, così mi preparai del latte caldo e lo misi a scaldare nel fuoco dentro al camino. Non mi accorsi che nella cucina c'era anche lei. Mi spinse dentro al camino, mi gettò nel fuoco. Sentii un calore indescrivibile, la pelle prese a bruciarmi ovunque e a sciogliersi gradualmente. Gridavo dall'atroce male, mentre lei era lì, impassibile, che mi osservava con quel suo solito ghigno malefico e guardava il mio corpo ardere tra le fiamme, trionfante di aver finalmente avuto la sua vendetta. Morii e non rividi più il mio amore. Venni seppellita in giardino, qui di fronte alla villa.»

    La bambina era allibita, senza parole.

    La zombie posò il libro sopra al tavolino vicino alla poltrona.

    «Cosa non si fa per amore...»

    «Mi dispiace molto.» Riuscì dirle solo questo.

    Annabelle si alzò e si trascinò verso la porta.

    «Ma dove vai?»

    «A scaldarmi del latte...»

    Annabelle svoltò l'angolo della porta e scomparì dalla vista della bambina.

    Lucilla la seguì, ma lei era già scomparsa.

    Rimase lì ferma nell'uscio del salotto, immersa nell'oscurità.

    Adesso voleva sapere a tutti i costi chi c'era in quella stanza di sopra, in fondo al corridoio. Ormai più nulla l'avrebbe spaventata.

    Risalì le scale cigolanti e andò verso la porta in fondo al corridoio.
    La porta era socchiusa e vedeva ancora la luce accesa.

    Deglutì e si fece coraggio.
    A piccoli passi giunse di fronte a essa.
    Con l'indice aprì la porta.
    Davanti a lei, in una camera da letto, giaceva seduta su una sedia, una donna intenta a ricamare qualcosa, forse una coperta, o un lenzuolo bianco. Ai suoi piedi c'era il gatto nero che aveva incontrato sul pianerottolo della casa.

    La bambina si avvicinò alla estranea figura.

    La donna sentì la sua presenza e di scatto si voltò a guardarla.

    I loro occhi si incrociarono.

    «Mocciosa, come osi entrare in casa mia?!» Gettò il lenzuolo a terra e la prese per il collo, sbattendola al muro.

    «Mi sono persa», disse, soffocando nella sua salda e fredda presa.

    La lasciò andare e andò a risedersi.

    «Vattene da qui subito, prima che qualche fantasma ti mangi viva. O prima che ti uccida io con le mie mani.»

    «Lei è...», riuscì a pronunciare.

    «Sono Joseline. Questa è la mia casa.»

    La bambina si avvicinò a lei e si sedette sullo spigolo del letto.

    «Cosa vuoi?» Chiese scontrosa la donna.

    «Lei è quella che ha maledetto questa villa?»

    «Io non ho maledetto nessuno», sospirò rassegnata.

    La bambina l'osservò meglio. Aveva il volto sciupato e rugoso. Gli occhi azzurri e i capelli neri ondulati le ricadevano fin quasi sopra le ginocchia. Assomigliava proprio a Barnaby. A suo fratello. Poi notò che sul collo aveva due buchi scuri.
    Si portò le mani al suo, di collo.
    Una strana sensazione le invase l'anima.
    Aveva anche lei due fori.
    Sgranò gli occhi.
    Il Vampiro, è stato lui.
    È tutta colpa sua, è lui che ha maledetto questo posto.

    «Che hai da guardarmi in quel modo?» Domandò seccata.

    Fece finta di niente e le chiese. «Cosa sono quei buchi che ha sul collo?»

    «È stato il Demonio a farmeli.»

    «Come? Perché?»

    «È una storia lunga, brutta e noiosa.»

    «Ma io vorrei sentirla.» La implorò la piccola intrusa.

    «Una sera sono scappata, non volevo sapere niente di più del matrimonio di mio fratello. Non volevo che sposasse Annabelle. Ero gelosa di lei perché era bella come una principessa uscita da una fiaba, aggraziata, alta e snella. Al contrario mio, e poi perché si era innamorata del mio tenero fratellino. Della cosa più preziosa al mondo. Non volevo perderlo, non volevo che si allontanasse da me. L'ho cresciuto io in fondo dopo la morte di mia madre. E ha avuto il coraggio di abbandonarmi e di innamorarsi della prima sconosciuta bionda che passeggiava al parco. Avevo paura che smettesse di amare me, così non ne potei più. Non volli più sapere nulla di loro due. Ero arrabbiata e delusa. Ero senza amore. Non mi sentivo più amata. Nostro padre non mi aveva mai calcolata e nessun uomo era mai stato interessato a me. Scappai, ma mi perdetti in mezzo alla fitta foresta che circondava questa collina. Persi l'orientamento e mi ritrovai una notte d'inverno in mezzo al buio del bosco. Una strana creatura mi agguantò per il collo e mi prosciugò del mio sangue. Caddi e svenni. Ritrovai la strada di casa pochi giorni dopo e quando ritornai cominciai a sentirmi sempre più stanca e spossata. Divenni depressa. Non avevo più voglia di fare niente. Non volevo più vivere, mentre osservavo loro due felici e innamorati ogni giorno sempre di più. Io ero diventata un cadavere vivente e durante le notti non riuscivo a chiudere occhio, perché vedevo demoni e mostri ovunque. Diventai pazza. Il Male crebbe e affondò le radici nella mia anima, prosciugando le mie energie e la mia vita. Quel vampiro mi aveva fatto una sorta di incantesimo. Mi aveva fatto sprofondare nelle tenebre. Nel Male più assoluto. Io non sono cattiva, sono stata costretta a diventarlo. Sono stata maledetta da quel vampiro. Ho ucciso la mia famiglia. Ho ucciso mio fratello. Ho ucciso Annabelle. Non ero più in me, ero posseduta dal Male, dal Demonio. Sono caduta in disgrazia e quando mi resi conto di quello che avevo fatto era ormai troppo tardi. Uccisi mio fratello e mio padre e tutti quelli che entrarono in questa casa dopo di loro, per risparmiarli da tutte le loro sofferenze. Mi pento di tutto il male che ho provocato e che ho fatto. Io volevo bene a Barnaby. Io volevo bene a tutti e adesso loro non ci sono più per causa mia. Cosa non si fa per amore... È tutta colpa mia. Non posso più tornare indietro.» La strega stava piangendo.

    La bambina era stupita e ancora una volta senza parole. La cattiva non era lei, nessuno in quella casa era il cattivo.
    Era stata tutta colpa del vampiro, un brutto gioco del destino. Pagato con sangue e sacrifici.

    La bambina si alzò dal letto più triste che mai.

    «Non li rivedrò mai più...»

    «Ma loro ci sono ancora in questa casa. Io li ho visti.»

    «Lo so, ma sono solo fantasmi e presto lo sarò anch'io...» La strega guardò seria la bambina. «Uccidimi.»

    «Cosa?» Lucilla era confusa.

    «Uccidimi e liberami da questo male per sempre. Per favore, uccidimi.»

    «No, non lo farò mai. Fallo da sola.»

    «Non posso. Fallo tu, ti prego, liberami dal Male. Ricongiungimi a mio fratello.»

    «E come faccio?!»

    «Vieni, scendiamo le scale.»

    La bambina seguì Joseline al piano di sotto che si faceva strada con la sua lanterna.

    Si ritrovarono nella cucina. La strega prese un coltello, dalla lama affilatissima, da sopra al lercio tavolo.

    «Tieni.»

    «Cosa devo fare?»

    «Tagliami la gola come ho fatto io con Barnaby.» La strega si inginocchiò davanti alla bambina.

    «Fallo, che aspetti?»

    «Non ci riesco.» Le tremavano troppo le mani dalla paura. In fondo le stava chiedendo di commettere un omicidio.

    La strega spazientita dal dolore, diede in mano il coltello alla bambina, poi strinse la sua manina che impugnava già il coltello e l'appoggiò al suo collo con la lama disposta orizzontalmente.

    «Ora premi e striscia la lama sulla mia pelle. Deve essere un gesto deciso e veloce.»

    La bambina deglutì e chiuse gli occhi. Infine strisciò la lama contro la carne della strega.

    Lucilla riaprì gli occhi.
    Vide la donna accasciata a terra con le mani intrise di sangue che si teneva il collo, mentre soffocava nel suo stesso sangue.

    La piccola inorridita gettò il coltello insanguinato a terra.

    Guardò con occhi sgranati, lucidi e impauriti la strega morire davanti ai suoi occhi.

    Sconvolta di aver ucciso una persona vera, fuggì da quella casa.
    Spalancò di colpo la porta e uscì nella notte oscura.
    Si fermò davanti al cimitero ansimante e tremante.

    Il giardino era ritornato come prima, nessuno spirito, nessun fantasma.

    Quando scese gli scalini del pianerottolo, alla sua destra qualcuno le sussurrò. «Grazie.»

    Si voltò e vide Barnaby abbracciato ad Annabelle e sua sorella Joseline.
    Anche lei era diventata un fantasma.
    Entrambi avevano il collo tagliato. Guardandoli così sembravano quasi gemelli.

    La bambina li osservò un'ultima volta e poi fuggì via nella notte di Halloween, non facendo più ritorno nella villa maledetta di Ghost Peak.





    Edited by -Laura- - 7/8/2023, 21:42
     
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    Ho deciso di rileggere questa storia visto che Halloween non è lontano. Penso di averla apprezzata di più rispetto alla prima volta (non che in quell'occasione mi fosse dispiaciuta ^_^ ). Le descrizioni sono adeguate all'atmosfera e le emozioni provate dalla piccola protagonista (paura, orrore, disgusto...) sono ben trasmesse, come avviene quasi sempre nelle storie che scrivi. Spero che prima o poi qualche nuovo lettore passi da queste parti! :)

    P.S. Molto bella la citazione iniziale! Viene da un romanzo?
     
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