Our choices seal our fate

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    Questa storia nasce dal gioco delle citazioni organizzato da Ellie, in particolare avevo scelto la frase di Cenerentola ("Avete il diritto di seguire il vostro cuore") e ho deciso di seguire la terza opzione: un racconto intorno al concetto di "fede". Inevitabilmente, questa storia presenta spoiler, ma spero, nonostante questo, che vogliate leggerla e, magari, poi recuperare il film. Buona lettura!


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    OPERA DI RIFERIMENTO: Royal Affair
    CATEGORIA: bollino giallo (per adolescenti)
    GENERE: Introspettivo
    NOTE AGGIUNTIVE: Canon - fic
    DICHIARAZIONE DI NON RESPONSABILITÀ: Questa fan-fiction si ispira al film “Royal Affair”, i cui personaggi non appartengono a me, ma agli sceneggiatori e al romanzo di Per Olov Enquist “Il medico di corte”. Entrambe le opere sono ispirate a fatti realmente accaduti.




    Sinossi: XVIII secolo, Europa. Età dell’Illuminismo. La principessa Caroline Mathilde di Gran Bretagna, appena quindicenne, viene data in sposa al cugino Christian VII, giovanissimo sovrano di Danimarca e, di fatto, re fantoccio a causa della sua pazzia. La donna s’innamorerà di Johann Struensee, il giovane medico di corte con cui inizierà una relazione e, soprattutto, una rivoluzione che cambierà le sorti del regno per sempre.



    «L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a sé stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo.»
    (Immanuel Kant – “Che cos’è l’Illuminismo?”, 1784)


    Mia amatissima Caroline,
    è a voi che penso in questa prigione putrida, il sangue rappreso delle mie ferite, inferte per tirare fuori la verità, per farmi confessare e, forse, persino redimermi, come è apparso dai discorsi del prete che è venuto a trovarmi in cella per, a suo dire, liberarmi dai miei peccati.
    Ma non trovo pace, né pentimento, né redenzione.
    Nulla di simile da quando mi hanno separato da voi, durante il colpo di Stato di quegli ignobili difensori del proprio bene, di una verità rivelata soltanto a loro, così ciechi e impauriti da ciò che, tutti insieme, eravamo riusciti a realizzare: liberare la Danimarca dal buio opprimente del velo dell’ignoranza, della stupidità mascherata per fede e, finalmente, illuminarla a giorno con la conoscenza. Illuminismo l’hanno chiamato, appunto. Uno staterello medievale come il nostro portato a fulgido esempio di libertà e progresso, riesci a crederci? Persino Re Christian VII è parso savio e gioviale dopo un tempo che pareva così vicino all’eternità e che ora, di sicuro, senza di noi a Corte, tu, la Madre ed io, il Re di Prussia, così ama chiamarci, dev’essere sprofondato nelle bugie di un nostro presunto tradimento mirato ad ucciderlo. Nulla di più falso, ma d’altronde, a lungo l’hanno tenuto sopito approfittandosene della sua pazzia, lasciandolo rinchiuso nel suo palazzo mentale, fatto di corridoi troppo vuoti e sinistri da attraversare e di mostri troppo spaventosi per essere affrontati da un semplice ragazzo inerme, Re per dinastia e mai per scelta. Eppure, io l’ho visto: ridere, divertirsi, citare l’amato Shakespeare a memoria, apprezzare la mia compagnia, prima di quella del paggio Moratti e in seguito a quella dell’adorato cane. C’è del marcio in Danimarca! Sarebbe ciò che immagino direbbe oggi. Ma mai l’ho visto lucido, gioioso e, quasi, estatico come il giorno in cui, con grande sorpresa di tutti, giunse a corte una lettera scritta da Voltaire in persona indirizzata a Christian stesso. È stato il giorno in cui il nostro circoletto arrivò a comprendere di stare facendo la differenza: per la Danimarca, per l’Europa, forse per il mondo intero. Ma non è stato sempre così, no.



    C’è stato un tempo in cui ero un semplice medico di campagna, ad Altona, in Germania. Nascondevo le mie ambizioni in idee illuministe mascherate da pseudonimi e, intanto, cercavo, al meglio che potevo, di convincere i pazienti che le cure non erano soddisfacenti per benedizione divina, ma per un’adeguata profilassi, un livello perlomeno accettabile d’igiene e un’indovinata e tempestiva diagnosi. Il mio lavoro e un paio di amici giusti mi portarono al cospetto del Re, deciso a viaggiare per l’Europa. Già preferiva la solitudine a voi, di cui si diceva foste solo una ragazzina – quindici anni per l’esattezza al momento del matrimonio – silenziosa e che preferiva le partite a scacchi agli incontri coniugali col Re, soprattutto dopo aver dato alla luce Friedrich, l’ambito erede.
    Sì, Christian era senza dubbio malato, eppure, sentivo che c’era un mondo, per quanto contorto, che egli trasportava faticosamente dentro di sé, ma che era incapace di far uscire senza crisi e scatti d’ira che solo le visite nei bordelli di quart’ordine sembravano poter mitigare.
    Ma mai quanto avrei scoperto di voi, solo qualche mese più tardi.
    L’odio che provavate nei confronti del consorte era palpabile e, del resto, chi ero io per farvi cambiare idea? Ricordo il rifiuto dei miei servigi, ma, sorprendendomi, la richiesta di avere un libro in prestito, se non erro si trattava di Rousseau: non certo una lettura leggera. Eppure, voi, sicura, me ne prometteste la restituzione, ma solo dopo averlo portato a termine. E così fu. Scoprii, e mi detti dello sciocco e dello superficiale, che alla corte inglese eravate cresciuta con un’istruzione ragguardevole, nelle letture così come nel suonare il piano, ma che, ancora di più, a fare la differenza era il vostro acume e la vostra curiosità che, per troppo tempo, era stata forzatamente sopita. Avevate fame del mondo e delle sue trasformazioni. La vostra seconda richiesta in assoluto fu di insegnarvi a cavalcare, ma non all’amazzone, bensì come qualsiasi altro uomo, un’attitudine decisamente sconveniente a qualsiasi donna, ancor di più se del vostro rango. Eppure, non mi negai. Cominciai così, in quelle piacevoli scampagnate, a poter apprezzare la vostra conversazione, la vostra compagnia e, persino, qualche fuggevole sorriso da parte vostra, una forma di timida gratitudine.


    Mai dimenticherò il giorno in cui trovammo il cadavere di un pover’uomo, sicuro un servo, torturato a morte e legato nudo a un arnese chiamato rudemente “cavallo di legno”. Credo che fu quello il momento in cui, all’unisono, le nostre menti decisero che era giunto il momento di fare la differenza per il popolo. Ma un altro processo, ben più difficile da predire, e altrettanto complesso da gestire, stava accadendo: mi stavo innamorando perdutamente di voi. Il ballo a corte celò dietro ai vestiti e alle maschere ciò che provavamo ormai l’uno per l’altra e da cui, entrambi, cercammo di scappare, ma senza successo alcuno. Diventammo amanti: ogni notte attraversavo i cunicoli di quel palazzo senza fine e vi raggiungevo, impaurito dalle conseguenze – Brandt, mio fedele amico, mi aveva candidamente ricordato la tragica fine di quelli come me nel regno – ma, ancor di più, obnubilato dal desiderio e dall’amore che provavo nei vostri confronti. Insieme, eravamo una cosa sola e, quello che credevamo, era ingenuamente di poter avere tutto.


    E così avvenne: prima, tramite Christian, riuscimmo a far approvare in consiglio le nostre idee per una terra e un futuro migliore, finché, quando non fu più abbastanza, in quanto le nostre proposte venivano rigettate prima ancora di essere discusse, allora fu proprio il re stesso a stupirci: destituì l’intero consiglio e mi nominò capo di gabinetto. Lavoravamo anche la notte, le nostre menti erano febbrili ed ebbre dal nuovo che giungeva: abolizione della tortura, garanzia della libertà di stampa e limitazione dei privilegi dei nobili furono solo pochissimi esempi dei continui decreti che emanammo in quel periodo. Non credevamo di poter essere più felici, invece mi annunciaste che eravate incinta, ma che tutta la corte sapeva che non appartenesse a Christian. La sofferenza nel sopportare la gelosia e la rabbia per quel rapporto forzato con qualcuno che, lo so, non avevate mai smesso fino in fondo di odiare, furono nulla, in confronto all’impassibilità impostami nel vedervi con in braccio Louise Auguste, la vostra secondogenita, mia figlia. Non potevo dirlo ad alta voce, quanto vi amavo e quanto amavo già lei, io, un semplice medico di campagna che aveva avuto molto più dalla vita di ciò che avesse potuto anche solo lontanamente sognare, ma voi lo sapevate e ciò mi bastava.


    Ripenso a tutto ciò che abbiamo fatto e mi chiedo se, davvero, l’abbiamo portato a termine per il bene del popolo o solo ed esclusivamente per noi stessi, a un certo punto, quando gestire per davvero un Paese è parso così difficile senza poter scontentare nessuno da darmi profonda preoccupazione e agitazione a voi, tanto da potervi calmare solo con del laudano. Eppure, io sono stato felice e spero, nel profondo del mio cuore, che lo siate stata anche voi. Il progresso è come una ruota, una volta che riesce a mettersi in moto risulta quasi impossibile da fermare, e proprio voi avete deciso che il tempo era giunto, non sareste stata china sul vostro letto di morte a sperare il meglio per i vostri figli e tutti quelli del domani. No, da quando curai il piccolo Friedrich dal vaiolo con un vaccino di mia invenzione, sono certo che fu da allora che decideste di prendere i legacci del destino e intrecciarli con le nostre mani. Vi sarò infinitamente grato per questo.



    Ecco, sono venuti a prendermi: Re Christian VII ha concesso la grazia a me, a Brandt e a voi. E allora perché non avverto sollievo? Dove ci conduce codesta carrozza che ci trasporta nel fango? Dove si dirige tutta questa folla che vedo al di fuori? Il prete stringe la croce tra le mani e io capisco che è troppo tardi. È Brandt che prendono per primo, senza che io abbia il coraggio di guardare ciò che, anticipatamente, so accadrà a me nello stesso identico modo. Sento l’ascia sferzare l’aria e, subito dopo, l’acclamazione del popolo, quella gente a cui non sono mai appartenuto davvero, per loro sono sempre stato il lascivo medico tedesco, eppure ho così tanto lottato per loro! Due guardie mi prendono di peso dalla carrozza e mi costringono a camminare verso il patibolo.
    “Sono uno di voi!” Grido, nel mio danese stentato. “Sono uno di voi!” Continuo, ancora tre, quattro volte, perché quella gente finalmente mi riconosca e sia riconoscente a me, Johann Struensee, un semplice medico di campagna. Tutti rimangono sordi al mio appello. Vogliono che tutto torni come prima, anelano il buio della restaurazione, del peccato, della vergogna. Conosceranno mai qualcosa di migliore e duraturo? Non avrò più tempo per vederlo coi miei occhi.


    Sono un essere umano e il terrore e la disperazione si prendono gioco di me: salgo le scale del patibolo e scivolo cadendo a terra, sporcandomi del sangue di Brandt le maniche della camicia e le mani, mentre qualche macabra risata echeggia di sottofondo. Il boia mi posiziona vicino alla cesta dove tra poco cadrà la mia testa, le braccia legate dietro la schiena, e non posso più evitare alle lacrime di scendere. La vita mi ha dato tanto e non sono pronto a lasciarla. Poi, miracolosamente, alzo gli occhi e riesco ad immaginarvi come una luce fioca in tutto quel buio, eppure più intensa di ogni altra cosa, tanto da farmi dimenticare il resto. Siamo nella brughiera, dopo una lunga passeggiata a cavallo, vorrei tornare indietro perché sta cominciando a piovere e sarebbe il colmo se il medico di corte fosse responsabile di un malanno della regina, ma voi, tuttavia, mi bloccate: “Mi ricorda la mia Inghilterra” spiegate poi, esponendo le vostre esili mani alle gocce di pioggia, l’odore umido dell’aria, della vegetazione e poi della vostra pelle, quello che avrei presto imparato a conoscere.
    Mi aggrappo a tale ricordo, mentre il boia alza la scure e ciò che vorrei dirvi è che, più luminose delle idee che abbiamo messo in atto, ci sono sempre stati solo i vostri occhi. E mentre muoio, so di essere vostro, eternamente, nella mente e nel corpo, e non c’è salvezza migliore che io sappia immaginare.


    §





    Mio amatissimo Johann,
    stupidamente, quando ho appreso della vostra decapitazione, che la grazia di Christian VII non fosse arrivata in tempo, che le mie suppliche a lui dirette fossero cadute nel nulla, ho creduto, io stessa, di morire seduta stante. Mi sono buttata a terra, ho gridato con quanto fiato avevo in gola, ho pianto di un pianto senza lacrime per quanto fosse grande la mia disperazione, eppure il mio sciocco cuore non ha smesso di battere. Ci mentono quando ci dicono che si può morire per amore, ci mentono per evitarci una verità ancora più amara: vivere senza la propria anima gemella è come camminare con un moncherino, un pezzo mancante non necessario; eppure, fondamentale, che mai nessuno potrà ridarci indietro.


    Ho sperimentato nuovamente il vuoto d’animo che ho provato solo da quindicenne, una volta arrivata alla corte danese, tra la mia nuova gente, con un marito ahimè minato nella mente in maniera troppo grave perché io potessi provare compassione per lui, troppo giovane, arrabbiata, superficiale e sciocca per capire che, se non avessi potuto provare amore, avrei almeno dovuto essere più comprensiva nei suoi confronti. Il senno di poi riesce a spiegarci tante cose. Ero nel fiore dei miei anni, sposata a un cugino che mi era stato descritto come amabile, intelligente, colto e capace di sostenere una conversazione brillante, nessuno, ovviamente, si era lasciato sfuggire il particolare che fosse anche infermo di mente. Ero stata cresciuta istruita, con una grande passione per la lettura e la musica, per poi scoprire che, a tali interessi, mio marito preferiva giacere con prostitute dei bassifondi. Non gliene riesco a fare una colpa fino in fondo, dato che, per quanto ritenessi la pratica disdicevole e offensiva nei miei confronti, io stessa avevo svolto l’obbligo di condividere il mio letto con Christian solo quel quanto che era bastato per restare incinta del tanto ambito erede: il mio amato Friedrich. Dopodiché, preferivo farmi credere impegnata in lunghe partite a scacchi in compagnia della vedova regina madre, matrigna di Christian: avrei pagato a caro prezzo quell’amicizia solo apparentemente innocente, qualche anno più tardi, dato che essa disprezzava Christian e ambiva che al trono ci salisse suo figlio. Ai tempi non facevo caso a tante cose, ero svogliata, annoiata e fiacca nell’animo e non vi mentirò dicendo che fui entusiasta della lontananza del re per un viaggio in Europa. Non potevo ancora sapere che mi avrebbe portato voi.





    All’inizio non posso certo dire che godeste della mia simpatia: vi trovavo supponente e inopportuno per il vostro rango, ma tenevate impegnato Christian e questo mi bastava. Non so dirvi con certezza il momento in cui seppi di provare qualcosa per voi: sicuramente avere accesso alla vostra biblioteca, dopo che i miei amati libri provenienti dall’Inghilterra mi erano stati proibiti perché messi all’indice in Danimarca, persino per una regina, fu un regalo incommensurabile. Scoprii che eravate un uomo sapiente e istruito, impegnato in letture e pensieri tutt’altro che superficiali, anzi, quasi visionari. Rousseau, Locke, Voltaire… Mi sembravano fiabe meravigliose senza tuttavia una concretezza di fondo e fu allora che voi, con immensa fiducia, mi prestaste i vostri stessi scritti sotto pseudonimo, in cui eravate capace di voli pindarici, ma con ali fatte di concretezza e speranza. Ero sinceramente colpita. Avevate iniziato ad aprirmi gli occhi, che tuttavia erano molto al di là da venire da vedere i veri successi di cui io stessa sarei stata protagonista.



    Le passeggiate e le nostre conversazioni a cavallo erano un’altra cosa che mi aprii il cuore indurito.
    Evitavo di cavalcare se potevo, perché mi sentivo goffa. “Perché cavalcate all’amazzone” mi rispondeste semplicemente voi. Ecco che, in mezzo allo scandalo dei cortigiani, pian piano, grazie alla vostra pazienza e fiducia, mi lanciavo in lunghe cavalcate in vostra compagnia, il vento e il sole che mi imporporavano le guance. Avrei voluto che quei momenti durassero in eterno e, cominciai, prima inconsciamente, a desiderare di scappare, dal popolo da cui non mi sentivo amata, che credevo mi avrebbe sempre considerato una straniera, dalla noia della corte, da un consorte che non amavo e, poi, soprattutto, avrei capito solo in seguito, da voi. Sì, da voi. Voi che mi avevate raccolto come un animale ferito e spaventato che, con infinta pazienza e dolcezza, stavate portando a una nuova vita.
    Sentivo che il mio sentimento per voi cresceva e che ciò non mi sarebbe mai stato consentito.


    Poi, vidi, tornando da una delle nostre lunghe passeggiate, qualcosa che mi fece prendere coscienza, improvvisamente, che, per quanto disprezzata a ignorata a corte, anche io avevo un ruolo: un uomo orrendamente torturato e ucciso, un umile contadino colpevole certo di qualche semplice furto o mancanza; era questo, dunque, il mio regno? Era questo il posto in cui avrei cresciuto mio figlio, primo discendente del re? Capii che era tempo di fare qualcosa. Cercai di presentare istanze al consiglio, che vennero ignorate, ma non era mia intenzione arrendermi per così poco. Grazie alle conversazioni con voi e alle letture prestatemi, non ero più intenzionata a restare passiva davanti alle brutture che si consumavano nel mio Stato di reggenza. Trovammo ben presto, insieme, il cavallo di Troia della nostra impresa: Christian.
    Sinceramente affezionato a voi, si fece in fretta persuadere dalle nostre idee progressiste e luminose, così da prendere parola egli stesso nel consiglio, di cui non era più un fantoccio, bensì un attore in prima linea: recitare, la cosa che più amava e gli veniva meglio, nel ruolo migliore che potesse trovare, ovvero quello del sovrano illuminato, stimato e amato dal suo popolo.


    Fu l’inizio di un piccolo miracolo: il successo di ogni decreto varato ci rendeva più intraprendenti, ma anche più incoscienti, visto che, nel frattempo, eravamo diventati amanti. Non dimenticherò mai l’estasi elettrica che viaggiava veloce tra i nostri corpi nel momento di quel ballo mascherato a corte: con voi scoprii ciò che avevo letto soltanto nei romanzi, l’amore reale, forte, vicendevole, mai prima avevo provato un tale sentimento per qualcuno, tanto da temere che mi esplodesse in petto e mi portasse alla pazzia, perché proprio io, la sovrana inglese in Danimarca, io, Caroline Mathilde, ero perdutamente, irrimediabilmente innamorata di voi, Johann Struensee, il medico tedesco di Altona.
    Eravamo così felici e così sciocchi: credevamo che quella situazione sarebbe potuta durare per sempre, di poter ingannare un intero regno sotto ai propri occhi. Quando Christian, mai così lucido e sicuro di sé nel proprio ruolo, sciolse l’intero consiglio e vi nominò suo vice, allora credemmo davvero di stare realizzando un sogno chiamato Illuminismo, tanto che la lettera di Voltaire al re non fece che aumentare la nostra certezza. I nostri valori avevano un peso e stavano facendo la differenza, in Danimarca, in Europa, forse persino in luoghi di cui finora avevamo solo potuto sognare.

    La notizia apice di quel periodo non l’accolsi con altrettanta prontezza di spirito: ero incinta. Tutta la corte sapeva perfettamente che non stavo con Christian da più di un anno. Questo significava darvi il lieto annuncio, pur sapendo che avrei dovuto di nuovo giacere con il re. Per quanto il vostro comportamento fosse esemplare a riguardo, ancora non riuscivo, e probabilmente fu una mia grande colpa, a provare affetto per Christian. Figurarsi a giacere con lui, che spendeva soldi e tempo in prostitute. Nonostante tutto, lo feci, per un tempo che ci parse adeguato, per quanto il mio fastidio e il mio disgusto per lui lo consentirono. Louise Auguste nacque sana e forte e, una volta rimasti soli, vi rinnovai le mie promesse d’amore. Tuttavia, il clima a corte era teso. Lo notavo dalla ruga che vi si formava in mezzo alla fronte, perché, di fatto, eravate solo al governo e ciò comportava responsabilità decisionali non facili da sopportare. Io stessa ero in apprensione: la satira parlava, di noi, di una regina sgualdrina e di un tedesco volgare e approfittatore, chiunque sembrava consapevole della realtà dietro la paternità di nostra figlia e ciò mi terrorizzava, ero convinta che il popolo ci odiasse e volesse ucciderci al più presto. Non dormivo più se non grazie al laudano che mi somministravate.

    Purtroppo, il peggio è arrivato: voi in prigione e giustiziato ed io in esilio a Celle, in Germania, senza i miei figli. Mi conforta vivere dove voi siete cresciuto e dove ho ritrovato la mia amata dama di compagnia. Ho scritto una lunghissima lettera a Friedrich e Louise Auguste dove narro loro tutta la verità su me e voi, di modo che, appena l’età glielo permetterà, sapranno qual è la cosa giusta da fare. Sento che sarà così. Sono nel letto, inferma, colpita dalla scarlattina e sono consapevole che non sopravviverò, così ho affidato la lettera alla mia fidata amica, che la darà loro non appena saranno abbastanza grandi per capire. Sapere aude, non era forse così?
    Io so di avervi amato profondamente e sinceramente, penso a voi e mi auguro che, dove ci ritroveremo, ci siano libri e un campo sterminato in cui cavalcare. Liberi. Questa volta per sempre.


    Dieci anni più tardi, Friedrich e Louise Auguste, rispettivamente di quindici e dodici anni, leggono la lettera e chiedono udienza al padre. Entro un anno, Friedrich assumerà la reggenza con un colpo di mano grazie all'aiuto di Christian, esiliando i cattivi consiglieri, e nei successivi decenni, ora Re di Danimarca, avvierà numerose riforme ispirate a quelle di Johann.
     
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    Il tuo stile è come sempre splendido e accompagna perfettamente la narrazione, riuscendo a trasmettere tutte le sensazioni, sia quelle belle che brutte, che gli eventi possono provocare. Nonostante l'epilogo per i due protagonisti non sia dei migliori, io credo che è il miglior finale che si potesse sperare, visto che la morte li ha in un certo senso "salvati" dal proseguire una vita che sarebbe stata vuota, dal momento che comunque lei era destinata alla morte e lui, seppur avesse ricevuto la grazia del re, avrebbe concluso la sua vita comunque in una sorte di "esilio". Forse qualche piccola modifica nella forma andrebbe fatta verso la fine della prima parte (quella che parla di Brandt che gli ricorda quale sarebbe stato il suo destino se avesse proseguito quella sua relazione). Il salto temporale finale, però, è un po' troppo affrettato e secondo me potresti scegliere o di ampliarlo (spiegando magari qualche riforma apportata) o eliminarlo, lasciando al centro solo la storia dei due amanti. Comunque veramente una splendida storia
     
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    Nancy Cuomo Ti ringrazio tantissimo per i complimenti sullo stile, diciamo che faccio del mio meglio, come chiunque immagino. Interessante la tua riflessione sulla fine dei due protagonisti, forse hai ragione, meglio insieme in qualche altrove che separati a vita. Se riuscissi a indicarmi i punti in cui apporteresti delle modifiche, ne farei tesoro volentieri. Non volevo addentrarmi troppo nei dettagli storici perché non è il mio campo e rischierei di scrivere solo baggianate ahahahah. Ho preferito dare spazio alle emozioni e sentimenti dei personaggi. Diciamo che la parte finale è solo una sorta di postilla più che il vero epilogo del racconto, forse hai ragione, potrei toglierla. L'ho messa per sottolineare che comunque l'eredità di Johann non andò perduta. In ogni modo, felice che tu abbia apprezzato questa storia. <3
     
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    Lettere meravigliose ed emozionanti❤sembrano provenire direttamente dal Settecento! Innamzitutto complimenti per il linguaggio filosofico e profondo,ho amato la caratterizzazione dei personaggi e la tua descrizione delle idee di libertà e progresso. Hai tratteggiato sapientemente le loro idee e ho ammirato moltissimo il loro coraggio. Mi piace la biblioteca come luogo dove innamorarsi😁❤È grazie a uomini come loro che siamo arrivati allo Stato di oggi. Hai saputo racconta re un amore fondato sulla libertà,l'amore più bello che possa essercin.
    Hai dato uno spessore profondo ai personaggi e voglio farti i miei complimenti per l'impegno che ci hai messo❤
     
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    ~Sweet Dreamer~ Ti ringrazio di cuore per essere passata a leggere questo mio scritto.
    Lieta che il linguaggio da me usato non abbia appesantito la lettura, temevo di risultare troppo formale e ampollosa in alcuni punti.
    Trovo anch'io che la lettura sia una "scusa" molto romantica per l'inizio di qualcosa! <3
    Concordo con te nel dire che, senza l'Illuminismo, non avremmo lo Stato di diritto che conosciamo oggi.
    Sono felice che tu abbia apprezzato la vicenda e i suoi personaggi, mi trovi d'accordo nel sottolineare l'importanza che entrambi hanno dato alla libertà, anche a costo della loro vita.
    Spero che tu possa apprezzare anche altri miei scritti pubblicati qui su ESTEL, il tuo entusiasmo è palpabile qui sopra, quindi, ancora una volta, benvenuta <3 Alla prossima!
     
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    Ti ringrazio di cuore😘
     
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