La vera essenza

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    Re(gina) dei Pirati

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    da qualche parte al fianco di Will Turner ❤

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    Questo è il racconto con cui ho partecipato al contest natalizio “Holly Jolly Christmas” :)
    Inizialmente avevo pensato di eliminare la parte in corsivo che funge da introduzione, poi ho cambiato idea. Penso che, seppur scritta in modo volutamente solenne (forse un po’ troppo X) ), possa catturare l’attenzione di chi non conosce la saga di “Pirati dei Caraibi”, fornendo anche delle informazioni utili per capire meglio la mia fanfiction e i suoi personaggi. Quanto al resto della storia, ammetto di aver fatto una revisione, intervenendo qua e là per semplificare alcune frasi, ma nel complesso le modifiche sono state poche (e non ho rinunciato del tutto al tocco di ricercatezza nel linguaggio *^^* ). Ovviamente il senso e il contenuto del racconto sono rimasti inalterati!

    Spero di aver fatto un lavoro apprezzabile e vi auguro buona lettura, come sempre! Ai fan dei personaggi consiglio anche la mia fanfiction collegata a questa, Lettere a Will ^_^


    La vera essenza

    eefowuL

    OPERA DI RIFERIMENTO: “Pirati dei Caraibi”
    CATEGORIA: bollino verde (per tutti)
    GENERE: Malinconico e Sentimentale con elementi fantasy
    NOTE AGGIUNTIVE: Canon-Fic
    DICHIARAZIONE DI NON RESPONSABILITÀ: “Pirati dei Caraibi” e i suoi personaggi non sono di mia proprietà, ma appartengono alla Walt Disney Company. Questa fanfiction non è stata realizzata a scopo di profitto, ma solo per il piacere di scriverla e di condividerla gratuitamente.


    Sinossi

    Una gravidanza solitaria, una lunga attesa e messaggi d’amore spediti in una bottiglia: il Natale della moglie del Capitano dell’Olandese Volante su un’isoletta tranquilla e sperduta…





    Caraibi, XVIII secolo. Narra la leggenda che il Capitano dell’Olandese Volante, l’immortale traghettatore dei defunti, la cui anima maledetta è legata al fato della sua stessa nave, possa risalire nella terra dei vivi soltanto una volta ogni dieci anni. Ma il Capitano è un mostro senza cuore, come raccontano le storie sussurrate da pirati e marinai? O è un uomo tenuto lontano da sua moglie, dal suo amore fedele, a causa di un destino avverso?

    C’è una donna che meglio di tutti conosce la verità dietro il mito, ma non vuole rivelarla a nessuno. È giovane, bionda, di corporatura esile. Il rigonfiamento dello stomaco tradisce la presenza della nuova vita che va formandosi nel suo grembo. I suoi lineamenti sono eleganti, aristocratici, ma le sue mani, il suo sguardo e la solitudine che l’accompagna dimostrano che non vive nel lusso da almeno un anno.

    La felicità della sua dolce attesa non può essere condivisa come lei vorrebbe; l’isola dove si è trasferita, piccola e dimenticata da chiunque non vi abiti, è teatro di un’esistenza ritirata e modesta, abbellita soltanto di rado dalla presenza di visi amici. A volte un antico forziere, dentro il quale c’è qualcosa di prezioso che pulsa in una serie di battiti ritmici, costituisce la sua unica compagnia.

    È una donna capace di maneggiare le armi, di manovrare il timone di una nave, di vestire alla maniera di un uomo senza battere ciglio. E ama l’oceano: la sonorità del rumore delle onde, gli spruzzi d’acqua salata sulla pelle, le umide tracce che i flutti lasciano sulla sabbia, simili a un’infinita decorazione ondulata. Ai suoi occhi l’oceano è l’immagine della libertà – ne racchiude il profumo, l’ebbrezza, l’essenza. Ed è il suo rifugio e la sua consolazione: le porta lettere d’amore che viaggiano all’interno di una bottiglia. Al tempo stesso, è l’oceano a ricordarle più che mai coloro che ha perduto, perciò è anche un’innegabile fonte di dolore. Quando lei cammina sulla spiaggia, di giorno o di notte, il suo cuore è diviso fra sollievo e turbamento, fra letizia e angoscia, fra rabbia e rassegnazione.

    Né l’avanzare della gravidanza né l’inverno caraibico le tolgono la possibilità di fare le sue passeggiate in riva al mare, eppure un freddo strisciante s’insinua nel suo cuore, raggelandole il corpo dall’interno. È il freddo della nostalgia, della consapevolezza di essere rimasta sola… perfino a Natale.


    ~*~*~*~


    «Forse tornerò la sera della Vigilia» aveva detto Anamaria a Elizabeth, prima di partire per una delle solite, misteriose scorribande. «Tu sta’ attenta, mi raccomando.»

    Elizabeth avrebbe potuto replicare che sapeva badare a sé stessa e non le serviva quel genere di avvertimento, ma si era limitata a scuotere le folte ciocche biondo scuro, la sua attenzione concentrata su una lettera ricevuta quella settimana. Allora Anamaria, sempre poco espansiva, le aveva rivolto un cenno di saluto col capo.

    I giorni successivi erano volati, come se la durata di ciascuna ora si fosse dimezzata per magia. Il ventuno dicembre era arrivata un’altra missiva, trasportata dal mare all’interno di una bottiglia – la stessa bottiglia che, entro la notte di Natale, sarebbe dovuta ricomparire sull’isola, custodendo un nuovo messaggio. Questa, perlomeno, era la speranza di colei che l’aveva lanciata fra le onde la mattina del ventidue dicembre.

    Quando l’alba grigia del ventiquattro ebbe accolto con mestizia una Elizabeth scarmigliata dal sonno, ansiosa e inquieta per colpa degli incubi notturni, quella speranza non si era affievolita, perché la giornata era ancora molto lunga. A sera, tuttavia, nessuna bottiglia fu rinvenuta sulla battigia.

    Elizabeth attese per ore, passeggiando avanti e indietro sulla sabbia. Il sole calò oltre l’orizzonte e lei corse a casa a procurarsi una lanterna, ma non vide traccia del prodigioso contenitore di vetro che, fino a quel momento, si era rivelato più efficiente di qualsiasi messaggero. La speranza, già traballante, venne meno.

    Neanche Anamaria si era fatta viva e ciò contribuiva a intristire Elizabeth, che aveva sottovalutato gli effetti della sua assenza in un periodo di festa. Non avrebbe immaginato che potesse mancarle così tanto, poiché vivevano nella stessa casa da appena qualche mese e il loro livello di confidenza era scarso. Eppure, se Anamaria fosse tornata la sera della Vigilia, come aveva lasciato intendere prima di partire, una chiacchierata di fronte a una tazza di tè sarebbe stata il minimo…

    Nel frattempo, nella maggior parte delle case dell’isola – se non dentro ognuna – c’erano avvisaglie del Natale imminente: abbracci più stretti del solito, una famiglia riunita a giocare a carte, una fila di candele profumate sul tavolo della cena, un ramo d’albero decorato con un fiocco rosso, un dolce speciale cotto con amore, un’allegra canzoncina intonata dalle voci angeliche di un gruppo di bambini…

    Calore, compagnia, gioia. Esisteva almeno una di queste tre cose nella vita di Elizabeth Turner, in quella notte di fine dicembre?

    Certo, lei amava la creatura che portava in grembo. Da quel punto di vista, non poteva definirsi davvero sola. Purtroppo, però, non era ancora riuscita a percepire i suoi movimenti. Accarezzarsi il ventre, un gesto che all’inizio le scaldava il cuore, aveva finito per diventare un atto quasi meccanico: non c’era più la lieta meraviglia, l’estasi quieta ma appagante delle prime settimane. Soltanto qualche evento speciale avrebbe potuto risvegliarla.

    Senza dubbio Elizabeth era stata forte altre volte: dopo la morte di suo padre, dopo il terribile ferimento di suo marito, dopo essersi resa conto delle conseguenze della maledizione dell’Olandese. Ma perfino lei, raggiunti i suoi limiti, si sentiva stanca, triste e amareggiata.

    “Dove sei, Will? Mandami un segno…”

    La brezza marina le scompigliava i capelli, s’insinuava nella scollatura del suo abito. La sabbia era fresca e bagnata, l’orlo della sua gonna ricoperto di chiazze umide. L’oceano era in movimento, ma non consegnava messaggi.

    Passata l’una di notte, Elizabeth voltò le spalle alla spiaggia e prese la via del ritorno, la sensazione di gelo nella sua anima che s’intensificava a ogni passo. Appena fu in camera da letto, crollò sul materasso, esausta e provata dalla spasmodica attesa.

    Da sola a Natale, chi l’avrebbe mai detto. Anni e anni vissuti con suo padre a essere la reginetta della casa, a ricevere regali costosi, a mangiare cibi raffinati, a partecipare a ricevimenti di gala che talvolta le erano parsi soffocanti, data la presenza di innumerevoli invitati più o meno conosciuti… e nel presente non le restavano che quattro mura vuote su un isolotto sperduto.

    Si addormentò piena di amarezza, senza nemmeno provare a tirar fuori il Forziere dall’armadio. Avrebbe pianto se, accostato l’orecchio al coperchio, avesse udito il dolce suono proveniente dall’interno.

    L’indomani non sapeva cosa sarebbe successo. Forse Anamaria sarebbe tornata, forse no. Di sicuro non era opportuno trascorrere una serata uguale alla precedente… Serviva una distrazione, un diversivo. Elizabeth scelse di recarsi sulla costa meridionale dell’isola, nella zona del faro; se non altro, così avrebbe cambiato panorama. Inoltre, c’era la possibilità d’incontrare la moglie del guardiano, Bertha, giusto per scambiare due parole e ingannare il tempo.

    Fu proprio Bertha a darle in minima parte ciò che le mancava, poiché la ospitò per offrirle un tè e una buona dose di sostegno morale. Con simpatia e solidarietà s’informò sia del suo stato di salute che di quello del bambino, perciò Elizabeth si sentì un po’ meglio.

    «È un continuo aspettare, non è vero, mia cara? Il ritorno del tuo sposo, la nascita del tuo piccino.» Per quanto ne sapeva Bertha, il marito della sua giovane interlocutrice era semplicemente “per mare”, ma quest’informazione le bastava per intuire i sentimenti di Elizabeth, senza lasciarsi confondere dalla finta serenità da lei ostentata. «Anche la tua amica Anamaria adesso non c’è, dico bene?»

    Elizabeth riuscì solo ad annuire. L’altra donna le prese la mano e la strinse.

    «È la vera essenza del Natale» mormorò, conciliante. «Non i canti, non i dolci, non le decorazioni, ma l’attesa… Quella della luce divina che entra nelle nostre vite. E sai che il sorriso di Dio si può cogliere ovunque, in qualsiasi situazione. Basta avere occhi per vederlo.»

    Elizabeth scosse la testa. «Temo di non poter scorgere alcun barlume di luce, allo stato attuale.»

    «Certo che puoi» replicò Bertha. «Prima di pensare a quello che ti manca, pensa ai doni che hai. Non è difficile.»

    Scese il silenzio, rotto unicamente dal tintinnio di una tazza che urtava contro il piattino. Elizabeth si massaggiò l’addome con aria assorta.

    «Il tuo bambino è sempre con te, ricorda.» Il sorriso della moglie del guardiano del faro era gentile, comprensivo. «Lo sentirai presto scalciare. Mi hai detto che sei già al quinto mese, quindi è questione di giorni. Riguardo al resto, ti do un consiglio: stasera, appena fa buio, accendi una candela e mettila sul davanzale della tua stanza. Non spegnerla mai, neppure al momento di coricarti. Vedrai che porterà bene.»

    Lì per lì Elizabeth non era intenzionata a seguire il suggerimento. Tuttavia, al calar delle tenebre, si decise a fare un tentativo.

    Era sfinita a causa della lunga camminata fino al faro, ma anche perché, nel tardo pomeriggio, si era arrischiata ad allenarsi a tirare di scherma dopo mesi di mancato esercizio. Non dubitava che un po’ di moto le avesse giovato, però le stava venendo il mal di schiena, segno che il suo corpo doveva riposare. Allora indossò la camicia da notte, depose la candela accesa sul davanzale della finestra e si sdraiò sul letto a pancia in su.

    Non prese subito sonno: continuava a tornarle alla mente la lettera di auguri che aveva scritto. Era stata spedita assieme a un fazzoletto bianco, ricamato da lei stessa, e a un frammento di vetro levigato dal mare, rinvenuto per caso sulla spiaggia, che con un pizzico d’ingegno poteva essere appeso allo spago usato da suo marito come collana. Poiché era una bottiglia a permetterle uno scambio epistolare con lui, persino un qualunque pezzo di vetro si trasformava nel simbolo di qualcosa di più… Ciononostante, Elizabeth non dimenticava che il vero regalo, per entrambi, sarebbe stata l’opportunità di rivedersi almeno a Natale.

    «Pensa ai doni che hai» le aveva detto Bertha. Purtroppo, era più facile e immediato rimuginare su quelli che il destino le impediva di ricevere…

    La fiamma della candela tremolò. Elizabeth trasse un lungo respiro, rimproverandosi per non essere in grado di superare lo scoraggiamento. Dov’era finita la sua resistenza alle avversità, la sua ostinazione a rialzarsi da ogni caduta? Serrò i denti, in collera con sé stessa.

    Pensa ai doni che hai. Non è difficile.”

    Non lo era, in effetti. C’era il bambino, minuscolo e silenzioso, ma vivo in lei… La miglior benedizione che potesse toccarle dopo il matrimonio. Poi le altre eredità, più o meno belle o tangibili, del legame con il marito: la destrezza con la spada e i calli sulla mano; l’odore del fuoco, impresso nelle pareti della cucina, che le ricordava lui almeno quanto il mare, facendole avvertire la sua presenza anche dentro una casa in cui non erano mai stati insieme; la profonda emozione che accompagnava l’arrivo di ogni lettera; la certezza che, seppur divisi, entrambi si amavano come il giorno in cui si erano dichiarati.

    “Mi ha dato il suo cuore” disse Elizabeth fra sé. “La cosa più preziosa di tutte. Ma non riesco a non sperare nei suoi auguri di Natale, specie dopo che gli ho mandato i miei. Sarò forse una sciocca?”

    Le sfuggì un sorriso appena accennato, malinconico. E fu con quel sorriso sulle labbra che finì per addormentarsi, mentre la piccola fiamma sul davanzale seguitava a bruciare.

    Il fastidioso cigolio della porta d’ingresso le guastò il sonno, proprio nel mezzo della notte. Alzatasi, Elizabeth si gettò la vestaglia addosso, estrasse da sotto il letto una delle sue spade e si affacciò nel corridoio, guardinga.

    «Scusa, non volevo disturbarti» esclamò Anamaria. «Ho dimenticato di oliare i cardini prima di andarmene.»

    Sollevata, Elizabeth abbassò la lama. «Dovevo immaginare che fossi tu, ma mi sono svegliata di soprassalto… Bentornata a casa, ad ogni modo.»

    «Grazie. E buon Natale, già che ci troviamo.»

    Stavolta Elizabeth sorrise apertamente. «Buon Natale a te.»

    Nella sua stanza la candela era ancora accesa. Lo stoppino sarebbe durato un altro paio d’ore, dunque Elizabeth ribadì a sé stessa di non spegnerlo e si avviò in cucina, proponendo ad Anamaria di bere qualcosa.

    «Sì, perché no?» fu la risposta. «Un buon bicchiere di rum… solo per me, è chiaro. Tu come stai? Il bambino?»

    «Nessuna novità. Credo non si sia mosso per niente.»

    «Magari dorme» ipotizzò Anamaria con una scrollata di spalle. Non era quel che si dice una donna materna o dal carattere affettuoso, ma Elizabeth era contenta che fosse lì con lei. Quando sedettero a tavola, si sentiva quasi di buonumore.

    Parlarono delle possibili variazioni climatiche dei giorni successivi, dei cibi freschi da acquistare al mercato e di altre piccole banalità. Anamaria raccontò qualche aneddoto sul suo viaggio in mare, Elizabeth riferì della recente conoscenza con Bertha. Nel frattempo, l’odore familiare del fuoco solleticava le narici di entrambe. Non era abbastanza per trasmettere il senso di amorevole conforto tipico del Natale, però non c’era paragone col gelo interiore della notte precedente.

    Anamaria, peraltro, fu più loquace e amichevole del solito. Prima di ritirarsi nella sua camera consegnò a Elizabeth una conchiglia, bianca e non più grande di un’unghia, ma con una splendida sfumatura rosata che saltava all’occhio.

    «Un’onda l’ha lasciata nella mia barca. Ho pensato che tu avresti voluto tenerla.»

    Elizabeth ringraziò, ammirando la bellezza del fragile oggetto venuto dal mare. In silenzio, andò a letto anche lei.

    Calore, compagnia, gioia. Aveva ottenuto un po’ del primo e della seconda. Poteva essere serena così, in fondo.

    Aprì l’armadio, ormai pronta a tirar fuori il Forziere. Nell’istante in cui questo fu nelle sue mani, la fiamma della candela vacillò e si spense. Elizabeth sussultò, assalita dall’idea irragionevole che si trattasse di un cattivo presagio. Appoggiò comunque l’orecchio allo scrigno, proprio in corrispondenza della serratura.

    Thump-thump. Thump-thump. Thump-thump

    Il suono che proveniva da dentro era sempre uguale. Costante, ritmico. Elizabeth lo ascoltò finché i suoi occhi non si furono abituati all’oscurità; poi, incapace di trattenersi, lasciò il Forziere sul letto, lo coprì con le lenzuola e uscì. Accese la lanterna e s’incamminò verso la spiaggia.

    Avrebbe fatto un’ultima prova, giusto per levarsi il dubbio e dormire in pace per il resto della nottata.

    L’oceano era calmo, grigio come una lastra di ardesia. Nel cielo, sgombro dalle nuvole, brillavano le stelle e uno spicchio di luna. Elizabeth si affrettò verso la battigia, la sabbia che le affondava nelle scarpe, il cuore in gola e il fiato corto. Scrutò le onde con gli occhi spalancati, agitando la lanterna per dirigere il fascio di luce a destra e a sinistra…

    «Eccola!» esclamò. La bottiglia, luccicante come madreperla e trasportata dal dondolio della corrente, veniva sospinta verso la riva. Sarebbe presto finita ai suoi piedi.

    È la vera essenza del Natale… l’attesa.”

    Elizabeth combatté l’impulso di bagnarsi le caviglie per avvicinarsi al cilindro di vetro. Non appena questo rotolò sulla sabbia, lei posò la lanterna e si chinò a raccoglierlo. Con mano impaziente tolse il pezzo di sughero che fungeva da tappo ed estrasse la lettera contenuta all’interno. Al foglio era fissata una cordicella, che legava insieme dei fili scuri e ondulati. Il messaggio era breve, essenziale, scritto con sentimento.


    Spero che i miei più cari auguri per Natale non ti raggiungano con troppo ritardo. Il mare è volubile, lo abbiamo imparato entrambi, eppure non ci resta che fidarcene.

    Mi manchi e capisco che per te è lo stesso. Le tue lettere sono la mia principale fonte di conforto, soprattutto in questi giorni. Temo di non poter fare nulla per rivederti: ora come ora sono confinato quaggiù e vincolato ai miei doveri. Non escludo che in futuro sia possibile cambiare le cose, solo che è davvero troppo presto per dirlo. Intanto, mi rallegro che tu e la nostra bambina continuiate a essere in salute. (Non discutere, per favore: sai già che secondo me è una femmina e che non cambierò opinione!)

    Grazie per i regali che mi hai mandato l’ultima volta. Li ho apprezzati molto. Il tuo ricamo è notevolmente migliorato e il fazzoletto conserva tracce del tuo profumo. Il frammento di vetro, invece, è già appeso alla mia collana, dal lato sinistro. Non ho bisogno di questi oggetti per pensare a te, però sono felice di tenerli. Mi aiutano a sentirti più vicina, anche con tutti i mari del mondo a separarci.

    Non avevo idea di che regalo farti per Natale. Non sono mai stato bravo con queste cose e poi di me hai già tutto: la mia spada, la mia lealtà incondizionata e specialmente il mio cuore. Ho risolto tagliandomi una ciocca di capelli… Quella accanto alla tempia, che ti piace accarezzare o allontanarmi dalla fronte.

    Custodisci questo pegno d’amore dove meglio ritieni, non ha importanza se in un cassetto, in un baule o in una tasca. Buon Natale, Elizabeth. Vorrei stringerti fra le mie braccia, ma devo accontentarmi di quel poco che al momento posso darti. Sempre tuo

    Will



    Ed eccola, la gioia. Venata di nostalgia, eppure inconfondibile nella sua spontaneità. Commossa, Elizabeth avvicinò al petto sia i capelli che il messaggio del marito. Era valsa la pena attendere: la ricompensa risultava ancor più dolce dopo lo struggimento del giorno prima.

    Mandò un bacio all’oceano sulla punta delle dita e si diresse verso casa. Avrebbe riletto l’intera lettera, cercato un posto dove mettere la ciocca ricevuta e, infine, sarebbe tornata a dormire col cuore leggero, ma fortificato dalla piena consapevolezza del suo amore per Will.

    Malgrado fosse stato uno strano Natale, i doni non le erano mancati: dall’incoraggiamento di Bertha al regalino di Anamaria, fino all’arrivo degli auguri dell’amato. Chissà, forse la candela accesa aveva portato effettivamente fortuna.

    «Ebbene» sussurrò Elizabeth, quando fu distesa sul letto col cuscino dietro la testa, «manchi soltanto tu, ormai.» Sorrise e si strofinò il ventre con tenerezza. «Ti aspetterò per tutto il tempo necessario, piccolo mio.»


    ~*fine*~



    Edited by Elizabeth Swann - 26/12/2023, 12:09
     
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